Recensiamo oggi al Thriller Café Il cacciatore di anime di Romano De Marco, appena pubblicato da Piemme.
Dopo un prologo crudo e spietato, che scuote con forza ma che è necessario, De Marco compie un balzo spazio temporale in avanti di ventitré anni, accompagnandoci sulla scena di un delitto inquietante e insolito: il paese di Peccioli viene sconvolto dal ritrovamento del cadavere di una giovane donna, il corpo ricomposto con cura all’interno di una teca del museo archeologico cittadino, modus operandi che fa pensare a una sorta di rituale e fa già capire al lettore quanto sarà alta la tensione in questo bel thriller.
A condurre le indagini viene chiamato il capitano Mauro Rambaldi, un uomo affascinante, forte e d’azione che vorrebbe rifiutare per raggiungere la capitale e iniziare subito a operare come capo di un’unità sperimentale sugli omicidi seriali: è destinato a una brillante carriera a Roma, ma i suoi programmi dovranno aspettare.
L’autore compone un’investigazione che risulta ostica sin da subito, gli indizi sono pochi e deboli, le piste incerte, gli elementi su cui lavorare flebili e soprattutto è la prima volta che Rambaldi sente sulle spalle il peso di non riuscire a risolvere il caso nei tempi che si era prefissato: lui, enfant prodige considerato uno dei migliori soggetti operativi, capace di cogliere particolari che gli altri non notano e di individuare le anomalie che sfuggono ai più, brancola nel buio insieme alla squadra e a noi lettori. Il capitano chiederà aiuto ad Angelo Crespi, uno dei più grandi esperti italiani di serial killer, ritiratosi proprio a Peccioli con una nuova identità in seguito a un evento terribile e definitivo.
L’architettura de Il cacciatore di anime è costruita ad arte, chi già conosce l’autore sa quanto la trama dei suoi libri sia un meccanismo perfetto in grado di trasportare il lettore tra le pagine e renderlo parte stessa del plot: il thriller ben congegnato è quello che fornisce a chi legge le “armi” per seguire le indagini di pari passo con i protagonisti e questo, senza dubbio, lo è.
L’atmosfera narrativa è carica di suspense crescente, rafforzata dai capitoli scritti in corsivo in cui a parlare in prima persona è l’assassino e da altri in cui viene raccontata una storia lontana che avrà un’influenza basilare sul procedere della vicenda e la risoluzione della stessa. Lo stile è pulito e essenziale, senza sbavature e fronzoli inutili, e al tempo stesso è efficace e profondo nel dipingere lo scenario e la psicologia dei molteplici personaggi che caratterizzano l’opera. L’ambientazione gioca un ruolo primario, non solo perché De Marco ha dedicato il libro a Peccioli, ai suoi abitanti e al grande impegno culturale della cittadina (che andrebbe presa a esempio!), ma anche perché è il gioiello giusto in cui incastonare i fatti, il luogo ideale che arricchisce e completa la trama.
Ultimo, ma non meno importante, è il doppio finale: dopo aver scoperto le carte in tavola e svelato il colpevole, l’autore ci regala un epilogo che è un nuovo e sbalorditivo colpo di scena. Nel corso degli anni Romano De Marco ha creato crime avvincenti che colpiscono nel segno, riuscendo ad essere sempre conferma e sorpresa insieme: Il cacciatore di anime non è da meno.
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