La superbia, l’avarizia, l’ira, l’invidia, la lussuria, la gola e l’accidia. Non c’è peccato che non possa essere mondato dal pugno di ferro dell’Inquisizione. Non c’è un solo essere umano esente da colpa nel potente affresco di fine Cinquecento che la scrittrice spagnola Susana Martín Gijón dipinge della città di Siviglia nel suo romanzo “1580: Morte a Siviglia” (Ponte alle Grazie).
Inevitabile pensare a quanto sia effimera la vita quanto la Dama senza naso ti cammina accanto. Se oltretutto il trapasso è stato prematuro, violento, causato da un altro essere umano, la paura si accentua. Magari riesci ad allontanarla dai tuoi pensieri, ma si tuffa a precipizio e si infiltra in ognuna delle duecentosei ossa del corpo umano. E rimane annidata.
1580. La Babilonia è la casa di tolleranza legalizzata più grande e rinomata di Siviglia, dove confluiscono uomini di tutti i ceti, attratti dalle bellezze esotiche delle donne che la animano. Il via vai è grandemente aumentato dacché in rada è pronta a salpare la flotta spagnola diretta nel Nuovo Mondo, sotto il comando di don Eugenio de Ron, primo pilota dell’Armada de la Avería e comandante della Soberbia, la magnifica ammiraglia di sua maestà. Anche don Eugenio è un estimatore delle fanciulle de La Babilonia, dove si ritira molto spesso nell’alloggio di Violante, una splendida donna dai fluenti capelli rossi e dalla pelle di alabastro.
Tutte le donne tengono a Violante, perché solo lei conosce l’uso delle erbe per curare le febbri, fare i cataplasmi sulle pustole infette della sifilide e provocare aborti. Tutto in gran segreto, lontano dagli occhi indagatori dell’Inquisitore Juan de Colomer.
Sarà sconvolgente, però, scoprire sulla polena della Soberbia la pelle di un volto di donna, scuoiato e dai capelli rossi.
I marinai gridano alla maledizione della spedizione e si rifiutano di salpare. Le donne de La Babilonia sono affrante dall’atroce fine della loro compagna. I quattordici membri del Cabildo, il governo sivigliano, sono in fermento sia per la perdita di prestigio che la città può subire agli occhi del re, sia per l’esborso straordinario dovuto al fermo della flotta, che porta con sé la terribile conseguenza della perdita di molte merci che sarebbero presto deperite nelle stive.
La più tenace delle prostitute, la mulatta Damiana, non si rassegna alla perdita dell’amica, tanto da cercare conforto e aiuto – lei, proprio lei, così orgogliosa e ostinata – nella compagna della sua infanzia, ora divenuta suora delle Carmelitane scalze.
Il ficcare il naso delle due donne non passerà di certo inosservato, né fuori le mura de La Babilonia né dentro quelle del convento, innescando tragedie e avventure rocambolesche nei vicoli oscuri, nei porti, a bordo di navi e in mondi lontani.
Le Vostre signorie sanno che alcune città sono infastidite dalla crescita esponenziale di Siviglia. Non per niente, quanto a popolazione e ricchezza supera di gran lunga la capitale dell’Impero. Ora più che mai dobbiamo dimostrare di essere un’urbe fiorente e tranquilla.
Susana Martin Gjion è una scrittrice spagnola, esponente molto quotata del filone della cosiddetta novela negra. Le protagoniste dei suoi polizieschi sono Annika Kaunda e Camino Vargas ma, ahinoi, non sono stati ancora tradotti, mentre Ponte alle Grazie è riuscito a farci leggere questo bellissimo romanzo storico che di poliziesco puro ha un po’ poco ma è sicuramente un romanzo di pregio.
Nella mia follia, alla fine della lettura del romanzo (e solo ad allora), sono andata a vedere su Youtube il filmato della presentazione del libro presso il Dipartimento di Filologia dell’Università di Siviglia per chiarire un punto che mi rimaneva oscuro.
Nella prefazione la scrittrice annuncia che la storia è stata adattata da un fantomatico manoscritto nel quale aveva avuto la fortuna di imbattersi. Fantastico davvero…ma vero? No, è solo un escamotage letterario che ha illustri precedenti, uno tra tanti – sostiene il relatore nella sua cattedratica imparzialità – risulta essere quello di Umberto Eco e del manoscritto di Adso da Melk, che costituisce l’architrave di quell’immenso capolavoro che è Il nome della rosa.
Chiarito il punto – e sopita la mia invidia sul punto (sono umana anch’io!) – ho iniziato a redigere questa recensione assolutamente lusinghiera sul lavoro della Martín, un romanzo che ha molti punti di pregio che bilanciano un finale troppo semplicistico, a detta dei lettori spagnoli (ebbene sì, ho letto anche le recensioni spagnole, sulle quali però non concordo) e qualche trovata nella trama un po’ troppo rocambolesca (questo, in effetti, lo sostengo anch’io).
In ogni caso, gli elementi per la costruzione di una storia di prim’ordine ci sono tutti: l’affascinante Siviglia che fa da sfondo a gran parte dell’azione, l’ingordigia di chi armava i vascelli per andare a depredare nuovi mondi, la prepotenza degli elementi della natura che ostacolavano la brama umana, la misera condizione delle donne dei postriboli, condannate all’isolamento indicato dalle cuffiette gialle quando uscivano dalla Mancebía, lo strapotere della Chiesa cattolica e la protervia della Santa Inquisizione, gli amori impossibili e le vite spezzate dalla violenza, la ricerca dell’Eldorado e della pace dalle tempeste interiori.
“1580: Morte a Siviglia” è uno di quei romanzi che, in modo o nell’altro, rimarrà vivido nella mente del lettore non solo per le vicende ma soprattutto per i personaggi: l’ostinata Damiana, la coraggiosa Suor Catalina, il viscido Fermin, l’onesto don Eugenio, l’invasato Juan de Colomer e tanti tanti altri che sembrano stagliarsi tra le ombre di uno dei quadri di Francisco Herrera, dallo stile disadorno ossia, riportati alla loro (umana) essenza.
Santa Catalina è zona di commercianti, artigiani e albergatori, e questo si nota dalla qualità delle abitazioni, delle locande e degli alloggi che popolano il luogo.
Un quartiere florido grazie alla presenza del mercato dei cereali e all’arrivo massivo di migranti francesi, genovesi e italiani, ma anche valenciani, biscaglini e moreschi.
Italiani, popolo di navigatori… Avete notato in questo breve passaggio come Genovese fosse considerato un aggettivo qualificativo proprio dei cittadini della Repubblica marinara di Genova – che intratteneva rapporti commerciali con i popoli del bacino del Mediterraneo – mentre Italiano era un aggettivo alquanto generico per indicare tutti i restanti abitanti dello Stivale?
La Martin ha fatto un lavoro storico davvero encomiabile!
Who is who?
Susana Martín Gijón (Siviglia, 1981) è una delle più apprezzate scrittrici di noir in Spagna. Giurista specializzata in relazioni internazionali e diritti umani, dopo essersi formata professionalmente in Italia si è occupata di sviluppo socioeconomico, cooperazione internazionale, diritti civili. Nella sua carriera di scrittrice, iniziata nel 2014, è stata finalista di numerosi premi tra cui: Premio Literario Felipe Trigo e La Trama/Aragón Negro. 1580: morte a Siviglia è il suo libro d’esordio in Italia.
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