1794 di Niklas Natt Och Dag è il libro di cui vi parliamo oggi qui al Thriller Cafè. Il romanzo, edito da Einaudi, è un thriller storico che costituisce il secondo capitolo di una trilogia iniziata nel 2018 con 1793. I frequenti collegamenti al libro precedente rendono sconsigliabile iniziare la lettura da qui: se volete fare conoscenza con questo interessante autore scandinavo, vi conviene partire dall’inizio, e cioè da 1793.
Dietro ai quattro numeri che compongono il titolo si nasconde un vero e proprio universo narrativo. Aprendo il libro, infatti, vi troverete scaraventati a fine ‘700, in una Stoccolma dominata dalla povertà e dall’incertezza. Scaraventati è la parola giusta, perché si tratta di un viaggio tutt’altro che confortevole tra i bassifondi di Stoccolma, popolati da pericolosi ubriaconi e prostitute. Il filo della narrazione conduce a carceri, orfanotrofi e manicomi, vere e proprie “tombe dei vivi”, raccontate con un realismo e una crudezza agghiaccianti.
Il protagonista è sempre lui: Mickell Cardell, ex-soldato diventato sbirro, con un braccio di legno e la sbronza facile. Reduce dalla sua prima avventura, Cardell è di nuovo sprofondato nell’alcol, ma una contadina viene a ridestarlo dal suo torpore. Gli racconta che sua figlia è morta durante la prima notte di nozze. Il cadavere è dilaniato, sembra sia stato assalito da un branco di lupi. I sospetti portano al novello sposo che avrebbe ucciso la donna amata in un momento di follia, ma la donna è di diversa opinione, e prega Cardell di aiutarla a scoprire la verità. Ad aiutarlo nell’indagine ci sarà il fratello di Cecil Winge, il magistrato che lo aveva accompagnato nella sua prima indagine. Emil assomiglia come una goccia d’acqua al fratello maggiore e insieme a Cardell dipanerà i fili di un’intricata matassa, in cui, per usare le parole del rude gendarme: “i cieli e l’inferno si svuotano dei loro abitanti solo per prendersi gioco di noi miserabili umani… Quando non sono frutto dell’immaginazione, sono farse”. Verità e menzogna, realtà e finzione si mescolano in un intricato labirinto, nei cui recessi si nasconde un letale Minotauro…
Pur costituendo il seguito di 1793, questo libro è profondamente diverso dal precedente. Anche se i personaggi sono gli stessi, l’impianto narrativo cambia radicalmente: se 1793 si sviluppa come una classica detective story, con delitto in apertura, indagine e soluzione del mistero nel finale, 1794 ha una trama molto più tortuosa. Le prime 130 pagine, infatti, sono il diario di un giovane rampollo di una nobile famiglia svedese, cacciato dal padre su una remota isola caraibica per distoglierlo da un amore sconveniente. Più che un giallo, sembra di leggere un romanzo d’avventura di Stevenson, ma poi la narrazione ritorna in Svezia, e finalmente entra in scena Mickell, con la sua forza erculea e il suo animo tormentato. L’indagine, però, non si risolve alla fine, ma molto prima: la vera sfida non è tanto scoprire il colpevole, quanto piuttosto incastrarlo. Anche il finale è un po’ confuso, quasi precipitoso verrebbe da dire, perché sono molte le domande che vengono lasciate in sospeso.
In breve, se vi aspettate di leggere il classico thriller è probabile che resterete un po’ confusi. L’impressione complessiva è che questo secondo volume della saga di Niklas Natt Och Dag sia una preparazione per il gran finale, e che quindi non vada tanto giudicato come opera in sé, quanto piuttosto in prospettiva.
Al netto di qualche difetto strutturale, 1794 rimane comunque un libro interessante, in primis per l’accurata ricerca storica che ha alla base. Niklas Natt Och Dag è stato paragonato all’Umberto Eco de “Il nome della rosa”: personalmente trovo l’accostamento un po’ eccessivo, ma bisogna comunque riconoscere all’autore una grande abilità nell’intrecciare fiction e storia, costruendo una storia verosimile e convincente.
Il leit motiv che accompagna la lettura è la follia, declinata in vari sottotesti: c’è la follia dei protagonisti, vittime di allucinazioni, inganni e ossessioni, c’è la follia punita nei manicomi e nelle prigioni, in cui i pazienti vengono sottoposti a sevizie spaventose (per chi vuole approfondire suggeriamo “Storia della follia nell’età classica” del grande filosofo francese Michael Foucault), ma c’è anche la follia sadica dell’assassino, che è chiaramente ispirato al Marchese De Sade (1740-1814), una personalità rivoluzionaria e controversa, figlio oscuro e irrazionale di un secolo dominato dall’Illuminismo e dal trionfo della ragione (anche le opere di De Sade meritano di essere lette, ma vi consiglio un approccio soft con “Justine” prima di addentrarvi in altre sue opere più hard core). Insomma, al di là dell’intrattenimento, c’è l’occasione per approfondire degli aspetti storici e concettuali tutt’altro che banali.
Terminata la lettura, non ci resta che attendere il terzo episodio della saga, che speriamo arrivi presto!
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