L’umorismo non è facile da maneggiare soprattutto se c’è di mezzo un omicidio. Ma M.C. Beaton (pseudonimo della famosa, e prolifica, scrittrice britannica Marion Chesney) ci riesce piuttosto bene. La seconda avventura di Agatha Raisin (pensate che la serie dedicata a questa investigatrice dal tatto di un elefante e l’ira facile conta ben 35 romanzi gialli) porta un titolo quantomeno profetico: Agatha Raisin e il veterinario crudele.
Ma vediamo la trama. La scorbutica e maldestra Agatha, ormai ultracinquantenne, ha abbandonato Londra e venduto la sua società di pubbliche relazioni per un pensionamento precoce. Si è trasferita a Carsely nei Cotswolds, tra villaggi pittoreschi di case in pietra dorata e viottoli affogati nel verde. Dopo aver faticato, e non poco, a integrarsi con gli abitanti del posto che le rivolgevano “una socievolezza che però non faceva passi avanti”, come lei stessa dichiara, finalmente si è inserita nel Club delle Dame di Carsely. Insomma, è riuscita a farsi considerare. Benvolere, quello no.
Priva di diplomazia, coi suoi modi prepotenti e irrispettosi di qualsiasi meritocrazia e vanitosa al punto di figurarsi ogni uomo piacente in circolazione come un potenziale innamorato, Agatha non è esattamente la vicina di casa ideale. Anche sul fronte amoroso le cose non vanno meglio. L’oggetto delle sue mire, il fascinoso vicino di casa James Lacey, colonnello in pensione nonché scrittore, non solo continua a ignorarla e a restare indifferente ai suoi tentativi di ammaliarlo ma batte in ritirata solo se lei gli fa gli occhi dolci. Inoltre, la vita nei Cotswolds si sta rivelando noiosa e monotona e la nostra protagonista è indecisa se tornare alla frenesia della metropoli londinese o restare a Carsely.
Un bel giorno, in paese, arriva Paul Bladen, un avvenente veterinario quarantenne che ha aperto lo studio in società con un tale Peter Rice. Oltre a essere piuttosto bello, e a esserne consapevole, l’uomo è anche pieno di sé. Presto la voce del suo fascino si sparge nel paese e una lunga fila di donne, come una pruriginosa epidemia, invade la sala d’aspetto dello studio recando con sé animali da compagnia improvvisamente malati e moribondi. Non fa eccezione Agatha che, un po’ per fare ingelosire l’indifferente James e un po’ per competizione verso le altre, porta il suo gatto (in verità sanissimo) per una visita di controllo. Inaspettatamente, Bladen le propone un invito a cena. Affamata d’amore, accetta.
A cena finita, Agatha si intrattiene a casa del veterinario e la situazione comincia a farsi bollente. Sul più bello, però, lei inventa una scusa e si dilegua prima che accada qualcosa di compromettente tra loro. Che strano: perfino l’incontenibile Agatha Raisin dimostra di avere un autocontrollo.
La mattina seguente, Paul Bladen, durante una visita a domicilio alla tenuta dei Pendlebury per curare un cavallo, viene trovato morto.
Per la Polizia si tratta di uno sfortunato incidente, una morte accidentale. Agatha è scettica. Il suo intuito le dice che qualcosa stona. Il sospetto che si sia trattato di un omicidio si insinua in lei, sempre più pressante. Decide, così, di indagare in autonomia. Bill Wong, l’amico poliziotto, la dissuade dal farlo e cerca di frenarne l’irruenza: saranno le forze dell’ordine a occuparsi del caso. Ma Agatha non ci sta. Ad affiancarla nell’indagine si offre il vicino di casa, l’agognato e irraggiungibile James. Inizia così un’indagine collaterale a quella ufficiale in cui i due detective improvvisati interrogano ogni possibile sospettato: Lord Pendlebury, il proprietario delle scuderie dove è stato trovato il cadavere; Peter Rice, il socio in affari di Bladen; e tutte le donne di Carsely con cui il veterinario ha intrattenuto una relazione. E sono tante. Molte più di quanto Agatha immaginasse.
James e Agatha formano un’ottima squadra investigativa e la loro alleanza, intrisa di goffaggine e colpi di intuito e fortuna, vivacizza la tensione narrativa, la movimenta. Alla fine sarà proprio Agatha a dare un volto all’assassino. Un volto decisamente inaspettato.
Certo, siamo ancora lontani dallo humour della regina del giallo, la Christie, e dai suoi colpi di scena scioccanti e i falsi indizi, i moventi intricati e le piste inconcludenti ma con Agatha Raisin e il veterinario crudele M.C. Beaton costruisce una storia che procede, nel complesso, in modo lineare e scorrevole senza divagazioni. Leggera, priva di flashback o anticipazioni, la trama presenta un ritmo spassoso scandito da dialoghi vivaci e brillanti e da un linguaggio curato, mai sovraccarico di dettagli o soffocanti descrizioni.
Per quanto riguarda l’ambientazione è interessante notare il contrasto tra l’immagine della campagna inglese di Carsely, descritta nella sua incantevole policromia: il magenta, e il bruno, dei tetti dei graziosi cottage affacciati sul verde dei giardini lussureggianti che “splendevano di fiori di ciliegio, di forsizie e giunchiglie” (e dunque un richiamo alla bellezza più pura e viscerale) con le cupe ombre del crimine (“I vermi, in questa mela lucida e invitante”).
Il torbido riaffiora sempre. Anche sullo sfondo di uno scenario da favola, rassicurante soltanto in apparenza.
Alla Beaton va riconosciuto il merito di avere collocato i gialli di Agatha Raisin nei Cotswolds, luogo che non si presta affatto ai crimini efferati e di averlo sporcato di sangue. Stessa cosa per Indridason, il famoso giallista islandese, che si è inventato romanzi polizieschi ambientati nella placida Reykjavik sulla quale avvengono, a malapena, dieci omicidi all’anno.In conclusione, Agatha Raisin e il veterinario crudele è un vibrante pot-pourri di mistero, deliziosi inganni e ironia british. Un giallo di debolezze, guai romantici, impacci (e impicci) che merita almeno una lettura.
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