Oggi pubblichiamo un’intervista che Alfredo Colitto ha concesso gentilmente a Silvia Torrealta per ThrillerCafé. Buona lettura!
1) Dopo Cuore di ferro è uscito da poche settimane il tuo secondo thriller storico I discepoli del fuoco. Ti definiresti scrittore di romanzi storici, scrittore di genere o semplicemente scrittore? Perché?
Mi vanno bene tutte e tre le definizioni, tutte insieme. Scrivo romanzi storici, quindi sono uno scrittore di romanzi storici. I miei romanzi, storici e non, sono dei thriller, quindi sono uno scrittore di genere. Ma fondamentalmente, al di là di tutte le etichette, si tratta di romanzi. Quindi mi definisco uno scrittore. Alla fine, la definizione più semplice è anche la migliore.
2) “Ogni libro dialoga con altri libri” afferma Umberto Eco. Ma ciascuno di essi ha la sua peculiarità. Quali elementi distinguono, oltre alla trama, ovviamente, “I discepoli del fuoco” e lo caratterizzano al di là della trilogia cui appartiene e degli altri romanzi che hai scritto?
Penso che la caratteristica peculiare de “I discepoli del fuoco”, come anche di “Cuore di ferro”, sia quella di coniugare uno stile moderno con un’idea e un’immagine forte del passato. Il linguaggio è la parte che curo di più, oltre alla ricerca storica. Nei miei romanzi non storici, ovviamente la cura per lo stile è la stessa, ma non c’è la necessità di adeguare parole, frasi e metafore all’epoca in cui è ambientato il libro.
3) I personaggi femminili che appaiono nei tuoi romanzi sono figure forti e consapevoli; questo ritratto dell’universo femminile fa parte delle tue convinzioni sul ruolo che le donne possono avere o è solo funzionale alle storie che scrivi?
Sono convinto che le donne non solo “possono avere” un ruolo forte nella società, ma l’hanno sempre avuto.
I miei personaggi femminili comunque non riflettono tanto un’idea sociale della donna, ma il fascino che le donne esercitano su di me in quanto universo “altro”. Spesso dico che nei miei romanzi chi comanda è la storia. Se un personaggio non è funzionale all’intreccio, viene cambiato o eliminato senza pietà, che sia uomo o donna. A meno che, ovviamente, il personaggio mi piaccia tanto da cambiare la storia per poterlo ospitare. Come dire: non ci sono regole. O meglio, ci sono solo quelle che decido io. Questo mi piace del mestiere di scrittore.
4) Tu traduci anche dall’inglese romanzi di autori importanti. Le tue due attività letterarie, scrivere e tradurre, hanno interagito fra loro o si svolgono parallelamente senza contaminazioni?
Si svolgono parallelamente, spesso anche nello stesso giorno (scrittura la mattina e traduzione il pomeriggio) e interagiscono parecchio tra loro. Il lavoro di traduttore consiste in pratica nello “smontare” un testo e “rimontarlo” in un’altra lingua. In questo processo è facile notare i lati migliori e i punti deboli di una storia, il linguaggio, la scorrevolezza o meno delle frasi. E naturalmente quando scrivo questa è una lezione che conta.
5) Individui un percorso esplicativo, non casuale, dal tuo primo romanzo “Cafè Nopal” a “I discepoli del fuoco”, attraverso gli altri romanzi che hai scritto?
Un percorso a mio avviso c’è sempre, persino in uno scrittore come me, che non riesce a conformarsi a un unico genere.
Il mio caso è quasi emblematico. Ho scritto un noir d’avventura ambientato in Messico, un giallo medico, un noir di ecomafia e persino una favola su un albero che cerca l’illuminazione, per poi approdare al thriller storico. Eppure tra questi romanzi ci sono più punti in comune di quanto possa sembrare a una prima occhiata. Il viaggio, che sia in un diverso paese o in una diversa epoca storica. Il protagonista che si sente straniero in una realtà che in parte gli sfugge. Lo stile, l’uso della scansione temporale e di punti di vista diversi, persino quando uso la prima persona narrativa. Eccetera. Preferisco non dirli tutti e lasciare che siano i lettori a scoprirli.
Recensione di Silvia Torrealta.
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