Dopo il successo de La gabbia dorata, Camilla Läckberg esce in libreria con Ali d’argento, secondo capitolo della serie Faye Adelheim edito da Marsilio.
La protagonista sembra aver ripreso il pieno controllo della propria vita: grazie a un piano geniale e perfettamente riuscito, si è lasciata alle spalle il tradimento e le continue umiliazioni dell’ex marito Jack, che ora è in prigione; la Revenge – società da lei fondata – va a gonfie vele ed è pronta al lancio sul mercato statunitense e soprattutto Faye è indipendente e appagata. Un campanello d’allarme però la costringe a rientrare a Stoccolma dove si rende conto che sull’azienda pesa una grave minaccia: qualcuno sta tentando la scalata ai vertici acquisendo azioni e facendole correre il rischio di perdere la Revenge. Ancora una volta Faye deve risorgere dalle proprie ceneri, ma la determinazione che la caratterizza non è sufficiente e con l’aiuto di due donne a cui mai avrebbe pensato di doversi rivolgere, attua un piano ancora più diabolico. La posta in gioco è troppo alta e Faye torna a combattere per difendere ciò che è suo e le persone che ama.
Ali d’argento è un romanzo diviso in due piani temporali: il presente, con le battaglie che Faye è obbligata a ingaggiare e il passato attraverso il quale l’autrice ci fa conoscere sempre meglio la protagonista, il suo vissuto e quel che ha subito. È stata tradita, violata e umiliata da tutti gli uomini che ha incontrato e che fanno o hanno fatto parte della sua esistenza, in special modo da quelli che, per legame di sangue, avrebbero dovuto proteggerla. Tutto questo mi lascia qualche perplessità: sebbene la Läckberg trasferisca su carta tematiche importanti e tristemente reali e attuali come la violenza domestica, lo svilimento del ruolo professionale delle donne, la disparità salariale e tanto altro, trovo che la storia sia esagerata ed estremizzata. A mio parere etichettare in toto il genere maschile come “cattivo” senza offrirgli possibilità di salvezza è poco plausibile, fa arrivare al lettore un messaggio distorto e soprattutto sminuisce i temi trattati risultando poco credibile. Senza contare che, per contro, non si può giustificare una donna che supera qualunque codice etico o regola morale ed è disposta a uccidere, e farla passare per un’eroina: non è questo il giusto senso del femminismo né della lotta per le pari opportunità. Pensiero personale, ci tengo a ripeterlo.
Il plot in sé è denso di imprevisti più che di colpi di scena e purtroppo si intuisce con estrema facilità chi stia cercando di sottrarre a Faye la Revenge e con chi, questa persona, sia in combutta. Anche il finale è senza sorprese: arrivati alle ultime pagine, quando ci si accorge che all’appello manca un personaggio, si capisce che una buona parte del thriller è risolta, che c’è una conclusione – seppur incompleta – della vicenda e che il seguito è inevitabile.
Nulla da criticare sullo stile graffiante dell’autrice, sulla scorrevolezza della scrittura e sul ritmo piacevole della lettura, ma a mio avviso sono insufficienti a renderlo un libro da consigliare.
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