Comincia tutto con una rapina in una gioielleria di via Montenapoleone, pieno centro di Milano. Uno dei rapinatori viene gravemente ferito, durante la fuga, e verrà, di lì a poco, ritrovato cadavere. Ma Alle porte della notte, ultima fatica letteraria del giornalista e scrittore Paolo Roversi, non è soltanto la storia di una rapina.
Pagina dopo pagina, l’intreccio si fa sempre più complesso e affascinante, a mano a mano che nuovi personaggi e nuovi intrighi vi si affacciano. Le novità arrivano da altri luoghi e da un tempo lontano: il collier che i rapinatori sembrano abbandonare durante la fuga riporta le stesse impronte ritrovate quindici anni prima dopo un’altra rapina, al Diamond Center di Anversa, in Belgio.
Loris Sebastiani, ruvido vicequestore, si avvarrà ancora una volta dell’aiuto del giornalista e hacker Enrico Radeschi (che possiamo forse definire come il vero e proprio protagonista del romanzo) per cercare di dipanare questa intricata matassa.
Possiamo dire che, in un certo senso, proprio questa “strana coppia” costituisce uno dei maggiori elementi di originalità della narrativa di Roversi, in questa come in altre occasioni. Nel giallo classico all’inglese infatti, per esempio, è piuttosto comune l’individuazione di una coppia di investigatori, ma in tutt’altra chiave.
Se pensiamo a Poirot e il capitano Hastings o, volendo andare ancora più lontano, quasi alle origini del romanzo giallo, a Sherlock Holmes e al dottor Watson, l’aiutante (Hastings o Watson) spesso non dà prova di grande acume. Così svolge, potremmo dire, la funzione narrativa di mettere ancora più in risalto l’eccezionale intuito del protagonista (Poirot o Holmes).
Nel caso di Roversi invece, Radeschi e Sebastiani sembrano costituire le due metà di un efficace detective, compensando l’uno i difetti dell’altro. Anzi, a completare il quadro, lo stesso Radeschi ha anche, almeno in un paio di occasioni, un disperato bisogno dell’aiuto di un suo misterioso amico, detto il Danese, che non disdegna di vivere ai margini della legge, e talvolta anche oltre.
E così Milano si tinge di una tinta più scura del giallo, con sfumature più tipiche del poliziesco, con toni che ricordano McBain o, senza andare così lontano e rimanendo nel solco della tradizione milanese, Scerbanenco. Quasi a compensare una certa durezza nei contenuti accompagnata da un disincanto quasi cinico nel descrivere le relazioni, interviene a far da sfondo alla narrazione uno humour nero, sempre molto efficace.
E così, quasi senza accorgersene, ci si trova a immedesimarsi ora con Sebastiani, ora con Radeschi, alla ricerca della soluzione di un mistero sempre più fitto e sempre più doloroso: alla rapina seguiranno diversi omicidi a sangue freddo. Si intuisce che la verità affonda le sue radici in un rancore mai sopito, un rancore che, per qualche motivo, trova la sua ragione di essere proprio in quella lontana rapina ad Anversa, di molti anni prima.
Soltanto nello scoppiettante finale però, dopo una serie di colpi di scena che pare interminabile, tutti i pezzi del mosaico andranno a posto, rendendo logica e comprensibile quella che sembrava soltanto una interminabile e incomprensibile sequenza di crimini.
E una volta svelato il diabolico piano, questa volta, rimarrà forse anche un piccolo spazio a Radeschi per la speranza di un nuovo e migliore equilibrio personale: senza dimenticare però la consueta attenzione, la consumata abitudine di dover, e forse di voler camminare sul filo del rasoio.
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- Roversi, Paolo (Autore)