Tra le uscite di thriller recenti in Italia, c’è anche l’ultimo romanzo di Guillaume Musso, “Angèlique”, pubblicato da La Nave di Teseo con la traduzione di Sergio Arecco. Guillaume Musso è forse il più celebre scrittore di thriller francesi, molto prolifico e autore di numerose opere di successo. Il suo stile ironico e tagliente e i suoi romanzi caratterizzati da un incedere tumultuoso e ricco di numerosi colpi di scena ne hanno fatto un idolo del pubblico anche in Italia.
Ancora una volta, dopo “La sconosciuta della Senna”, uscito lo scorso anno, Musso centra la propria storia attorno a un personaggio espulso dalla Polizia. In questo caso Mathias Taillefer ha pagato il fatto di essere troppo zelante e ligio al dovere, di avere un carattere estremamente ruvido, al limite dell’accettabile. Mathias è il prototipo del border line che affascina Musso. Irregolare, mai a posto con sé stesso, irriverente, volutamente solitario e antipatico. Si risveglia in una stanza di ospedale e trova accanto al proprio letto una bellissima musicista intenta ad allietare i pazienti con sonate di violoncello. Manco a dirlo, Mathias prende Louise (questo il suo nome) subito di petto e la vorrebbe cacciare dalla stanza. Ma la ragazza, tenace e combattente, come le donne che Musso crea nei suoi romanzi, non si dà per vinta e a prezzo di qualche sofferenza riuscirà a convincere Mathias ad aiutarla in un suo personalissimo progetto. Scoprire chi ha ucciso la madre, étoile della danza morta in circostanze misteriose. Perché Louise sa che la madre è morta assassinata, nonostante la Polizia abbia optato fin da subito per il suicidio.
Incalzante e ricca di colpi di scena la struttura narrativa, che intreccia tra loro numerose vicende avvenute in luoghi e tempi diversi. Personaggi che amano l’azione, sono spinti dalla curiosità, agiscono senza pensare troppo. Donne protagoniste, che hanno sempre la meglio sugli uomini e conducono le danze, arrivando quasi sempre a realizzare quello che hanno pianificato. Fin qui nulla di nuovo per Musso. Tuttavia mi pare in questo caso che l’intreccio sia un po’ sfuggito di mano all’autore. Le mille diramazioni e punti di vista generano una matassa estremamente complessa, al punto che nella fase conclusiva si avverte una sorta di “precipitazione degli eventi”, che nasce a mio avviso per semplificare un romanzo avviato a una dimensione forse eccessiva. Ma, tutto sommato, l’effetto non è poi così male e anche questo rush finale, non pregiudica la riuscita dell’opera.
Come in ogni romanzo di Musso, sono molti i temi che affiorano. Dal tema della pandemia, che entra prepotentemente nel romanzo, a quello dell’universo social, ormai in vera e propria competizione con il “mondo reale”, al punto che le nostre vite ne sono sempre più divorate (e non mi pare che Musso approvi tutto ciò). Ma due spunti mi sembra prevalgano sugli altri e, sebbene attenuati dallo stile ironico di Musso, ci costringono a riflettere. Il primo è la precarietà e insieme l’attrazione irresistibile che esercita il successo sugli esseri umani. Persone che sono pronte a distruggere sé stessi e gli altri pur di arrivare, che colgono le opportunità derivanti dalla “lotteria della vita” per approfittare cinicamente dei propri simili. Il secondo è il dilagare della mediocrità, della “medietà”. Per Musso, uno dei motivi che spinge le persone “normali” a distinguersi dagli altri è la voglia di abbandonare la mediocrità, che una società sempre più massificata e livellatrice rischia di non saper più frenare. Temi tanto delicati quanto disperanti. Non è infatti un quadro molto positivo quello che emerge dalla narrazione di Musso, che spesso mette in bocca ai propri personaggi frasi di un cinismo disperato, quasi disarmante.
Solo nei frammenti finali si intravede un barlume di speranza, anche se più che essere il risultato di una visione rosea del futuro, tutto questo sembra emergere dall’istinto di sopravvivenza di esseri umani ormai provati oltre ogni limite.
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