Bentrovati al Thriller Café. Oggi parliamo di Aprile è il più crudele dei mesi, un romanzo di Derek Raymond, blasonato autore di noir britannico. Pubblicato nel 1985, ha avuto diverse edizioni in Italia, l’ultima delle quali è stata curata da Fanucci nella sezione Time Crime. Il titolo originale è “The Devil’s home on leave”, mentre il titolo italiano è stato tratto dall’esergo del libro, una citazione del poeta T.S. Eliot.
Il libro ci trasporta nella Londra degli anni ’80, in un capannone abbandonato sulla sponda del Tamigi dove vengono ritrovati cinque sacchi di plastica, colmi di resti umani precedentemente fatti a pezzi e messi bollire. L’assassino è stato metodico e accurato nella procedura: ha fatto saltare i denti del cadavere e cancellato le impronte digitali per mezzo della bollitura, per rendere praticamente impossibile l’identificazione del cadavere.
Il caso viene affidato alla Factory, la Sezione Delitti Irrisolti della Stazione di Polizia di Chelsea. A intraprendere le indagini è un sergente, il cui nome non viene mai rivelato nel corso della narrazione, un solitario e anarchico poliziotto indifferente alla carriera e in continuo conflitto con i suoi superiori.
Una cosa è chiara: l’omicidio è opera di un professionista, di un sicario esperto e addestrato alla perfezione. Tuttavia, l’assassino ha commesso un errore, un peccato di orgoglio che sarà la sua rovina: anziché far sparire i resti nelle torbide acque del fiume, ha lasciato i sacchetti in bella vista, come se volesse compiacersi della propria bravura e, implicitamente, sfidare la polizia.
Le indagini si svolgono in un teatro umano davvero desolante, tra pub malfamati e informatori, ma ben presto la posta in gioco si alza. Il raccapricciante omicidio dei sacchetti di plastica, infatti, non è che la punta di un iceberg, un complesso gioco di corruzione e segreti che coinvolge le alte sfere del governo e i servizi segreti. Il ritmo incalzante della ricerca si intreccia con la tormentata vita personale del detective, che ha alle spalle una tragedia famigliare raccapricciante e una moglie rinchiusa tra le mura di un manicomio.
Questo romanzo di Derek Raymond ha, a nostro avviso, molti pro e un solo contro. Partiamo da quest’ultimo: l’assassinio viene scoperto quasi subito, prima di pagina cinquanta, per intenderci. La rivelazione quasi immediata del “colpevole” smorza un po’ il senso di attesa e di suspense che il lettore si aspetta da un thriller. Quella di Raymond, in effetti, è una scelta narrativa abbastanza audace, che solo un grande e consumato scrittore del suo pari può permettersi. Di lì in poi, il romanzo si evolve in qualcosa di diverso, da noir si trasforma in una intricata spy-story, che comunque mantiene al centro la partita a scacchi cerebrale tra il killer e il poliziotto.
Ora che abbiamo evidenziato il punto debole, passiamo ai pregi, che non sono certo pochi: Aprile è il più crudele dei mesi è un romanzo secco e spietato, che colpisce duramente il lettore, e spesso sotto la cintura. Lo stile di Derek Raymond è inconfondibile, perché con le sue frasi asciutte e i suoi dialoghi essenziali da vita a un mondo narrativo nero e con ben poca luce al fondo del tunnel. Le pagine più belle sono sicuramente quelle dedicate al confronto tra l’assassino e il sergente, perché ci offrono uno scorcio perturbante sul cuore di tenebra di uno psicopatico, una zona d’ombra in cui umanità e ferocia si confondono.
Ci troviamo d’accordo con Carlo Lucarelli quando afferma, a proposito di questo scrittore, che “i suoi romanzi ti rimangono dentro a lungo, perché sa andare a fondo più di chiunque altro”.
Derek Raymond è in realtà lo pseudonimo di Robert William Arthur Cook (1931-1994). Figlio dell’alta borghesia londinese, questo scrittore ha condotto un’esistenza errabonda, fatta di lunghi viaggi e costellata di matrimoni tormentati e di lavori occasionali, dal taxista all’insegnante.
Aprile è il più crudele dei mesi è il secondo dei cinque romanzi che costituiscono la Serie della Factory, dedicata appunto alla sezione crimini irrisolti (dopo E morì a occhi aperti e prima di Come vivono i morti, Il mio nome era Dora Suarez, Il museo dell’inferno). Siamo sicuri che non vi lascerà indifferenti…
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