L’incipit di “Assenza da giustificare” è davvero inconsueto per un giallo: una giovane donna stesa sul lettino di un ginecologo che, munito di pinze, raccoglie a uno a uno gli ovuli presenti nel suo utero.
Siamo a Bruxelles e scopriamo che la donna in questione si chiama Alina Mari ed è un ispettore di polizia in forza al commissariato di Roma centro. Si è recata nella capitale dell’Unione Europea durante un periodo di ferie insieme al fratello acquisito, Tito, per usufruire della fecondazione in vitro.
Il nostro ispettore, però, è una donna tormentata dai dubbi, anche su quelli che riguardano la maternità, così basta una telefonata del suo diretto superiore, il commissario Angelo Bosisio, perché pianti baracca e burattini e abbandonando gli ovuli fecondati al proprio destino si precipiti all’aeroporto per tornare a Roma.
Una donna è stata ammazzata in un parco del centro cittadino mentre portava a spasso il cane e Alina Mari, almeno secondo il commissario Bosisio, è l’unica in grado di occuparsi del caso. Inutile dire che tale importante incarico provoca l’immediato risentimento della sgangherata squadra investigativa guidata da un commissario che si commuove fino alle lacrime davanti a un cadavere e che alle indagini sul campo preferisce rimanere in ufficio, a sgranocchiare caramelle e rimpinzarsi delle prelibatezze cucinate dalla moglie.
Anche gli altri della squadra hanno i loro problemi: il vice ispettore Vito Giuliani, per esempio, è afflitto da una sindrome da machismo acuto e, nonostante sia sposato, ci prova con tutte gli individui di sesso femminile che gli capitano a tiro; l’agente Loredana Schillaci è follemente innamorata di lui e soffre le pene dell’inferno quando Giuliani scappa nella nativa Puglia al solo scopo di salvare il suo matrimonio. L’agente Romeo, invece, è costretto a convivere con il fardello di chiamarsi Romeo anche di nome oltre che di cognome, mentre il bel procuratore Ricceri è in crisi matrimoniale e ha una gamba ingessata.
In questo guazzabuglio di individui incasinati, l’ispettore Mari di certo non sfigura: è stata abbandonata dalla madre alla nascita, è cresciuta in orfanatrofio insieme al fratello acquisito Tito, il padre putativo è in carcere, vive in un camper, è presumibilmente anoressica, soffre di umore instabile e a trent’anni suonati è ancora vergine, perché il contatto con un altro essere umano la terrorizza. L’unico della compagnia che sembra possedere un buon equilibrio è Dirac, il cane della morta ammazzata che Alina ha preso con sé.
Come se tutto ciò non bastasse, le indagini sono difficoltose, i testimoni sfuggenti e omertosi e l’esistenza di Elena Cantini è quasi monacale. Solo gli enormi mazzi di fiori che marciscono nel suo elegante appartamento del quartiere Trieste stanno a testimoniare che forse nella sua vita c’era qualcuno diverso da coloro che -professori o studenti- frequentavano l’esclusivo Liceo dove insegnava. Si chiamo Nick, ma nessuno sa chi sia.
Nonostante gli ostacoli, le indagini proseguono e Alina collega il delitto della professoressa Cantini ad altri omicidi commessi ai danni di donne, per lo più prostitute, nella provincia di Latina.
Così, seguendo le tracce di un assassino che sguscia come un’anguilla, ci aggiriamo insieme all’ispettore Mari in una Roma piovigginosa ma affascinante nella sua velata malinconia, ripercorriamo i luoghi cari al turismo di massa che l’autunno inoltrato riscopre nella loro misteriosa bellezza. Seguiamo i passi di Elena Cantini dall’elitario Liceo Parini alla sua casa, tra le palazzine sofisticate e le vie alberate del quartiere Trieste, percorriamo le strade che portano alle ville discrete dei Parioli fino a spingerci fuori dalla città, sul litorale sabbioso di Sabaudia, dove le dimore estive sono chiuse e il porticciolo è deserto, ma forse proprio per questo più vero.
Al contrario di molti altri noir ambientati a Roma, “Assenza da giustificare” non attraversa le strade brutali della periferia, dove bande criminali controllano il territorio e si fanno la guerra tra casermoni desolati e giardini sporchi e abbandonati al degrado. Il romanzo di Acciai è diverso: niente droga, nessun uomo tatuato e nemmeno cassonetti traboccanti spazzatura, ma una lunga passeggiata lungo via del Corso, per via Tomacelli, piazza Barberini, fino alle gradinate di piazza di Spagna. Luoghi mitici, che nel romanzo hanno il sapore della vita vissuta e questa, forse, è la ragione per cui “Assenza da giustificare” merita di essere letto. Ci restituisce una città come in molti l’hanno sognata.

Recensione di Maria Cristina Grella.

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