A due anni di distanza dal precedente volume di Luigi Romolo Carrino, Edizioni e/o porta nelle librerie italiane Alcuni avranno il mio perdono, romanzo che prosegue le vicende narrate in La buona legge di Mariasole.
Mariasole, boss della Federazione di clan Acqua Storta di Napoli, è alle prese con la difficile gestione di suo figlio Antonio, un sedicenne irrequieto che si è già messo nei guai diverse volte. Il giovane è innamorato di Rosa, nipote del camorrista Aldo Musso ucciso proprio da sua madre. Una relazione vietata, che cita espressamente Romeo e Giulietta in chiave criminale. Se ciò non bastasse, Antonio vuole anche scalare la catena di comando e nelle strade c’è solo un modo per farlo.
Questi protagonisti, nella loro bivalenza (criminali ma anche genitore e figlio), vivono di contraddizioni: nella vita privata non sono dissimili da una qualsiasi coppia madre-adolescente, a cominciare dalla perenne incomunicabilità che vige tra i due. La donna, forse nell’unica ingenuità che si permette, crede ancora che lui possa salvarsi dal marciume nel quale invece lei si muove. Mentre prova, ormai quasi rassegnata, a tenere lontano il suo “bambino” da quell’ambiente deve conservare l’ordine in città, protetta da Imma e Anna, che sono più di bodyguard: due leonesse, la sua guardia imperiale. Ci sono strani movimenti attorno alle slot machine e alle sale scommesse che i clan usano per ripulire il denaro, bisogna stare in guardia.
Puoi far ammazzare dieci killer, puoi ucciderne tu stessa cento, puoi condannare mille maschi, puoi comandare diecimila uomini e puoi terrorizzarne altri centomila, ma una madre avrà sempre tutti i timori e i dubbi che solo una madre sa di avere.
Nemmeno l’apprensione per il sangue del suo sangue le fa però perdere la lucidità, sorella dell’assenza di pietà, che è necessaria per chi comanda. Anche la famiglia nemica, nonostante l’odio che prova nei suoi confronti, non può non riconoscerle autorevolezza; come viene detto più di una volta, lei, una donna, è l’uomo più potente della città. Il ruolo di genitore che dà consigli maturi al figlio si confonde quindi con quello del boss affermato che spiega ad un aspirante capo le regole del gioco.
Da parte sua Antonio sente il peso di avere una mamma così ingombrante: tutti lo vedono solo come il “figlio di”, anche il rispetto che gli tributano è di seconda mano; in più il ragazzo ha l’impressione di tradire le aspettative di chi lo circonda, perché ormai avrebbe dovuto aver già dimostrato di meritarsi l’eredità della famiglia.
Mariasole sa che le sue parole non servono. Non serve un divieto, una coercizione. Non serve più niente perché la faccia di suo figlio dice ogni cosa, il suo corpo è impostato già per diventare un boss o un morto. Che alla fine, poi, è la stessa cosa.
Le nuove generazioni, i figli della criminalità organizzata, non obbediscono più ciecamente ai genitori, esattamente come tutti i loro coetanei. Antonio e Rosa vivono in clandestinità il loro amore, perché il loro sentimento è più forte degli enormi rischi che corrono. Si arriva così alla guerra. Gli eserciti sono fatti da ragazzi non ancora maggiorenni, ma non per questo lo scontro è meno cruento. Mariasole subisce gli attacchi dei Musso e ora deve dimostrare ai suoi sottoposti che è in grado si reagire. Più potere hai, più alto è il rischio di perderlo.
La voce narrante è quella di Arturo, che vive il suo ingresso nel giro della criminalità con distacco, senza passione ma con grande fedeltà. A lui interessa star vicino ad Antonio, che insiste enigmaticamente a chiamare fratello nonostante quello sembri non conoscerlo. Certo che quando rischi la vita in una sparatoria ti metti una gran paura ed è facile rimpiangere il turno alla sala scommesse. Il giovane comincerà a far parte del clan e a frequentare la famiglia. Rimane totalmente avvinto da Mariasole, non solo per il suo potere ma anche per il suo altero fascino femminile; tra di loro si instaura subito una confidenza forse un po’ incoerente coi ruoli che hanno. Anche per Arturo è una questione di sangue: si è avvicinato ad Acqua Storta per sapere la verità sul padre, morto ammazzato anni prima. La sua assenza quando era bambino lo ha segnato indelebilmente e paradossalmente lo ha legato ancora di più alla famiglia d’appartenenza del genitore.
Carrino sa descrivere le situazioni in maniera chiarissima, trovando le parole per farci entrare nella storia. Alcuni avranno il mio perdono si regge su un modo originale di trattare la camorra, sia dal punto di vista dei contenuti (i quali si concentrano sulle vicende personali dei personaggi, dalla cui quotidianità emergono gli aspetti criminali) sia da quello stilistico: questo romanzo vive infatti di una lingua originale, fondata su frasi costruite in maniera non banale e su un lessico contaminato di parole ed espressioni napoletane. L’autore ha inventato una prosa particolare che non si accontenta di scandire meccanicamente gli eventi come molti libri di genere. Il narratore, ed è uno dei tratti peculiari del romanzo, racconta le vicende in maniera obliqua, marcando la sua presenza; anche se, come abbiamo detto, il punto di vista è quello di Arturo, possiede una certa onniscienza; talvolta esprime le vicende come possibilità, creando delle interessanti aperture nel testo; di tanto in tanto traspare la consapevolezza di come andranno le cose e ciò dona alla storia una sorta di fatalismo tragico (ulteriore rimando al destino dei due star-crossed lovers di Shakespeare), che in maniera perfetta tiene assieme freddezza espositiva e partecipazione alle passioni dei protagonisti.
Napoletano, classe 1968, Luigi Romolo Carrino ha all’attivo, fra gli altri, due romanzi selezionati per il Premio Strega: Pozzoromolo (Meridiano Zero, 2009) ed Esercizi sulla madre (Perdisa Pop, 2012), mentre in Acqua Storta (Meridiano Zero, 2008) fa la sua prima comparsa il personaggio di Mariasole.
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- Carrino, L.R. (Autore)