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Al Thriller Café oggi vi presentiamo “Ayahuasca“, il primo romanzo di Fulvio Rombo, scrittore di gialli pluripremiato in importanti concorsi nazionali come Garfagnana in Giallo o Giallo Trasimeno. Il libro racconta un’avventura ambientata in una Sanremo inedita, lontana dalle luci del festival e più vicina alle ombre che si nascondono nelle sue strade.

Ma cominciamo dalla trama…

Pietro Genovese è un antropologo dalla mente brillante ma tormentata. La sua routine viene sconvolta quando, un lunedì mattina, scopre nel suo studio il corpo senza vita di una donna, legata e imbavagliata nell’ambulatorio del collega psichiatra Luca Binotto. Con Binotto apparentemente irreperibile e lo studio accessibile solo a loro due, il mistero si infittisce.

Le indagini vengono affidate al commissario Nina Magellano, con la quale Pietro ha un legame profondo e complesso. Insieme a lei, una squadra di personaggi unici: Perrone, detto il Perro, Santamaria, esperto di tecnologia con l’aspetto di un nano delle montagne, e Ozzy, lo stravagante referente della Scientifica.

Non potendo fare a meno di coinvolgere i suoi amici di sempre, Pietro si affida anche all’A-TEAM: Mora, l’intraprendente; Schiena, il contadino sensibile alle ingiustizie; e Pigna, l’artista dal cuore d’oro. Un gruppo eterogeneo che, tra legami di lunga data e percorsi non convenzionali, si immerge nell’indagine sfidando i confini della legalità.

Senza svelare troppo, questa la storia narrata da “Ayahuasca“, e per aiutarvi ancora meglio a capire se questo romanzo può incontrare i vostri gusti abbiamo posto due domande all’autore; più avanti trovate anche un estratto…

Due domande all’autore, Fulvio Rombo

[D]: Com’è nato questo libro?

[R]: Lavoro come psicoterapeuta. Il romanzo è nato dall’ascolto delle storie di tanti pazienti, della loro disperazione, dei loro bisogni  e in un certo senso della loro esigenza di affidarsi a qualcuno che, talvolta, ingenuamente viene percepito come onnipotente. Ne è venuta fuori l’idea di un romanzo giallo-noir che esplorasse sia il bisogno di “salvezza” che attraversa le gente comune nel nostro tempo sia i danni psichici perpetrati da chi, attraverso relazioni di potere, con il pretesto della terapia, governa menti fragili.

[D]: Qual è la cosa che i lettori potrebbero apprezzare di più nel romanzo?

[R]: È una storia della quale si può apprezzare il ritmo, l’imprevedibilità, il finale sorprendente. Interessante può risultare il protagonista (Genio) e il doppio binario che prende l’indagine: quello portato avanti insieme al commissario Nina Magellano e quello più improvvisato, informale, del gruppo di amici del cosiddetto A-Team.

Estratto

1.

Esco senza pensarci. Fratellanza della sconfitta. Il tempo perso.

Piove. Esco senza pensarci. Mi riparo, solo per un attimo, sotto il cornicione della Casa Parigina. Come sempre, ogni volta che mi avvicino a quell’edificio, vengo sopraffatto dalla vibrante dissonanza tra eleganza e abbandono. Cammino in fretta, rasente i muri di palazzi meno nobili ma almeno onesti, nella loro sfacciata bruttezza. Le persone per strada si agitano in traiettorie isteriche come nugoli d’insetti impazziti. Ingannati e sorpresi dal rovescio improvviso, da quell’inatteso monito d’autunno. Si lamentano, gli stessi che imprecavano contro l’aria afosa, gravida di aridità rovente e di sabbia del deserto. Ma la pioggia è maledetta, perché è presagio di fine stagione. La gente è frustrata, giornali e sacchetti in testa, nervi tesi, in cerca di qualcuno con cui prendersela. La gente non ce la fa più. Li odio tutti, uomini e donne, così incapaci di coerenza. In balia di loro stessi, senza uno straccio di consapevolezza. E dire che mi fanno anche pena. Ogni tanto provo questo vago sentore di pietà perché, in fondo, al netto delle differenze individuali nel percepire la disperazione, ci lega l’inesorabile fratellanza della sconfitta. Il sapore di una resa. L’essere al tempo stesso carnefici e vittime di noi stessi.

Nessuno può immaginare quanto ho appena visto. Sono sconvolto. Cerco Bino, al secolo Luca Binotto. Devo assolutamente trovarlo. Al telefono non risponde, l’utente al momento è irraggiungibile. Luisa, sua moglie, ha il telefono spento anche lei. Mando un WhatsApp a tutt’e due. Non compare la doppia spunta dell’avvenuta ricezione, solo quella singola del messaggio recapitato. E che cazzo. Se non lo trovo entro mezz’ora al massimo, mi vedo costretto a chiamare la polizia. Provo nel suo bar di fiducia.

Ci sono cinque o sei bar a distanza di dieci metri l’uno dall’altro nella nostra zona. Ma io so perché lui sceglie sempre quello lì. Per la moglie del titolare che -questo è vero- gli fa gli occhi dolci. Forse, con un po’ di lavoro ai fianchi e con la giusta strategia, gliela mollerebbe pure. Il problema è che Bino non è il tipo. Arriverebbe fino al punto in cui dovrebbe decidere se affondare il colpo. E, lo so già, all’ultimo si tirerebbe indietro come un moccioso qualunque, invocando principi etici ai quali non crede più nemmeno lui, ma che in quel momento ricoprirebbero la preziosa funzione dell’alibi, la sponda sulla quale far tristemente rimbalzare la sua auto-giustificazione. Ma allora perché sta al gioco? Perché scendere in campo se poi non vuole vincere? Mi sembra un’insensata perdita di tempo. Le perdite di tempo, che siano il perseguire obiettivi privi di valore, il difendere cause perse in partenza, l’inseguire piaceri agognati ma irraggiungibili, sono un’altra cosa che detesto con tutta la mia dannata anima. Bino, a volte, mi sembra l’icona del tempo speso male. Cazzi suoi, mi dico. È un amico, però, e quindi un po’ della questione m’importa.

Metto la testa dentro il bar. Sono zuppo, evito di gocciolare all’interno. Un solo avventore, chino su un bianco paglierino, al bancone. Appena il titolare, un uomo calvo e rinsecchito che ha tutta l’aria di essere invecchiato troppo precocemente, mi vede, mi saluta con un cenno del capo e si ritira a stivare provviste nel retrobottega, con espressione risentita. Gli sto sul cazzo? La moglie, quella degli occhi dolci, è una cinquantenne che non si rassegna a fronteggiare il declino. Si tiene e ci tiene che si noti, sta sempre a truccarsi, ha un bel viso e un seno opulento, che non manca di valorizzare con magliette aderenti e camicette scollate. Per i miei gusti se la crede un po’ troppo. Apprezzo la sua costanza nell’auto-restyling, così come la resistenza che oppone alla sabbia che scivola nella parte bassa della clessidra ma, sempre per i miei canoni, si crede una gran figa e canta vittoria troppo presto. La aspetto tra un paio d’anni. Scommetto che, dopo qualche traversata, si sarà afflosciata come la vela di una qualsiasi barca da diporto.

«Non c’è il tuo amico?» mi anticipa, approfittando del marito nel retrobottega.

«Speravo fosse qui con te» le rispondo da stronzo, volutamente ambiguo. Mi divertirei ancora a prenderla per il culo, ma non ho tempo da perdere. Sono, anzi siamo, nella merda.

Riprovo il numero di Bino. Niente. Quello di Luisa, niente. Sono solo. Devo vedermela io.

Fulvio Rombo

Fulvio Rombo, nato a Sanremo nel 1972, è uno psicoterapeuta dell’età evolutiva e scrittore italiano. Laureato in Psicologia all’Università di Torino e specializzato in Psicoterapia Psicoanalitica a Milano, ha completato gli studi filosofici all’Università di Genova. Appassionato di musica e scrittura, suona la chitarra e compone canzoni, poesie e racconti. Nei suoi lavori letterari predilige i generi giallo e noir, esplorando temi come la morte, il male e la ricerca della verità. Ama rappresentare Sanremo in modo autentico, lontano dagli stereotipi festivalieri. Tra le sue opere pubblicate figurano i romanzi Era meglio orfani, Ayahuasca e Profanazione, editi da GOLEM Edizioni. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti in concorsi letterari nazionali, tra cui il Premio Garfagnana in Giallo, Giallobirra, Premio Giallo in Provincia, Giallo Trasimeno.

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