Recensiamo oggi su Thriller Café Bacchiglione blues, romanzo di Matteo Righetto edito da Perdisa: un libro sicuramente da tenere presente per i prossimi acquisti.
Titolo: Bacchiglione Blues
Autore: Matteo Righetto
Editore: Perdisa
Anno: 2011
Trama in sintesi:
Sembra di essere nella Louisiana occidentale, tra fischi di pallottole e uomini senza coscienza. Siamo invece in Italia e questo non è un film. Lungo il corso selvaggio di un fiume in piena, in mezzo a campi di barbabietole, vecchi sfasciacarrozze e cascine abbandonate, tre balordi sequestrano la giovane moglie di un industriale dello zucchero. L’uomo decide allora di risolvere a suo modo la questione, assolda una seconda squadra di banditi e presto la situazione precipita in una serie inarrestabile di colpi di scena. Questa è la profonda provincia rurale del nord-est, dove si annidano personaggi tanto grotteschi quanto verosimili, criminali sprovveduti, bifolchi fuori controllo e proprio per questo capaci di tutto.
Nell’attuale panorama editoriale l’ironia e la scrittura frizzante sembrano essere quasi del tutto sottovalutate e trascurate. Si danno enorme peso ed ampio spazio a scritti che, se da un lato risultano rispecchiare i mesti tempi che attraversiamo, dall’altro lasciano molto spesso il lettore negativamente segnato e non suggeriscono particolari soluzioni immediate. Senza voler assolutamente sminuire l’importanza di tali segnanti letture, alcune delle quali, guarda caso provengono proprio dal nordest, ci è indispensabile rivolgere la nostra attenzione anche verso autori che soprattutto intrattengano il lettore regalandogli delle ore di puro svago, che, sempre ricollegandoci alla situazione attuale, non ci stanno affatto male.
Matteo Righetto è uno di questi, ne dà ampia prova in questo suo secondo lavoro uscito nella collana “Corsari” della Perdisapop. L’amore viscerale dello scrittore veneto per le atmosfere pulp/noir/ western dichiarate nel manifesto del movimento Sugarpulp da lui co-fondato, prorompe sin dalle prime pagine. L’ultradinamica trama si dipana tra gli sterminati campi di barbabietola da zucchero del nordest e il fiume Bacchiglione, in una landa che, come recita il risvolto di copertina, ricorda la Louisiana occidentale. E i tre protagonisti principali possono essere considerati il corrispettivo padano della white trash descritta da Erskine Caldwell, uno degli autori di riferimento dello scrittore veneto. Con la differenza che quelli ritratti da Righetto hanno una vena farsesca che risulta più vicina alla pantomima lansdaliana, una delle peculiarità che rendono la lettura irresistibile.
Tito abita con la madre in una vecchia e isolata cascina ed ha un’insana predilezione per le prostitute albanesi, Toni è uno sfasciacarrozze che quando non si occupa di auto cerca di tenere lontane le zanzare tigre con delle micidiali emissioni di gas intestinali e Ivo ha per passione un’insolita collezione di animali classificabili come desueti quando non deformi. I tre ceffi, mentre rievocano cartoni e telefilm degli anni ottanta, discettando sulle prime seghe fatte pensando a Venusia e concordando sulla pericolosità di avere rapporti sessuali con Capitan Harlock, pianificano il rapimento della moglie di un ricco industriale dello zucchero. Un’altra girandola di singolari comprimari ostacolerà le loro mire dando vita ad una storia che in una manciata di pagine fionda il lettore in una puntata di Starsky & Hutch — per rimanere nell’ambito dei personaggi cari ai tre sequestratori — o in un film poliziottesco, altro genere dal quale Righetto, assieme allo spaghetti western, attinge a piene mani. Non mancano due predicatori vaganti che, lontani dalla figura immorale resa immortale da Caldwell nel 1935, daranno un’inaspettata svolta comico-grandguignolesca alla storia. Gli inseguimenti al cardiopalma e l’allucinante campionario di armi utilizzato dai personaggi che si muovono su un tapis roulant narrativo regolato su modalità “fulmineo”, giustificano la definizione di “Tarantino nostrano”, che il critico letterario Giovanni Pacchiano gli affibbiò sulle pagine culturali de’ Il Sole 24 Ore in occasione del suo esordio Savana Padana. Con questa sua seconda prova il buon vecchio Quentin, se ne volesse trarre un film, avrebbe pulp per i suoi denti. Una lettura terapeutica.
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