Sfruttando sottotetti, omonimie e patologie, Federico Axat confeziona il suo thriller d’esordio: Benjamin, che oggi recensiremo per gli affezionati avventori del Thriller Café. Per ulteriori approfondimenti vi rimandiamo all’intervista concessaci da Axat nello scorso aprile.
Titolo: Benjamin
Autore: Federico Axat
Editore: Sperling & Kupfer
Traduttore: Ursula Bedogni
Anno: 2012
Ben Green ha 9 anni, una madre egocentrica dal pessimo carattere, un padre fin troppo soggiogato dalla terribile moglie, una sorella adolescente menefreghista, un nonno terribilmente autoritario, una nonna annientata dalla vita e una zia autistica.
Un fardello decisamente troppo pesante per le sue piccole spallucce.
All’ennesima discussione con la madre, Ben pensa di attivare delle rappresaglie e al momento la più efficace gli sembra quella di rovinare l’imminente partenza per la vacanza dei genitori, fuggendo di casa.
Confessa tale proposito ad un amico di famiglia, Mike Dawson, il quale in seguito si dispererà per non essere riuscito a dissuadere il bambino. E così Ben scompare e le ricerche iniziano frenetiche.
Dov’è finito Ben? E’ annegato nel lago vicino casa, come alcuni indizi sembrano indicare, o si è nascosto nel sottotetto della sua abitazione, come lo scrittore ci suggerisce?
Benjamin è un thriller faticoso e impervio come un sentiero di montagna che si inerpica verso la cima, e lungo il quale si soffre parecchio per mancanza d’ossigeno. La trama è complicata sia dall’omonimia tra personaggi sia da continui flash back che portano il lettore a confrontarsi con vari livelli narrativi: ciò che è si sovrappone più volte a ciò che è stato (o ciò che sembrerebbe sia) per mezzo dell’espediente tecnico di frasi in corsivo; ma il corsivo è utilizzato anche per intercalare i pensieri dei personaggi a dialoghi reali o all’azione vera e propria.
Confrontarsi poi con due Benjamin e un Ben e riuscire a distinguere il passato dal presente, i trapassati dagli scomparsi, i reali dagli immaginari, non è affatto agevole e contribuisce ulteriormente (e non poco!) a confondere.
In questo intrico quasi inestricabile, è palese come Axat stesso senta la necessità di sciogliere tutti i nodi con l’espediente finale (che non riveliamo): un finale facilitato, quasi a voler risarcire il lettore dell’immane sforzo fatto a seguire il più delle volte piste volutamente fuorvianti.
Il nostro consiglio di sopravvivenza nella scalata a questo ideale Annapurna è quello di dotarsi di bombole cariche di acume e passione per la buona lettura: se vi applicherete con precisione, riuscirete anche a fare a meno della spiegazione finale e, raggiunta la cima, potrete ammirare la mirabile visione d’insieme.
A nostro giudizio, Sherpa Axat non vi deluderà, anche se vi avrà condotto fino lassù con qualche deviazione di troppo.
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