Un esordio pazzesco questo di Pino Imperatore, con il suo primo romanzo Benvenuti in casa Esposito.
Un libro godibile, a tratti esilarante, che mantiene viva la sua attenzione per tutte le 265 pagine, senza neanche un normalissimo calo fisiologico.
La genialata di questo romanzo consiste nel narrare di una vecchia e triste piaga sociale, come la camorra, in chiave del tutto innovativa, in altre parole con graffiante ironia. E se cu ‘a camorra nun se pazzeja, è altrettanto vero che uno sberleffo, una smorfia, nell’immaginario collettivo, possono essere più devastanti di tonnellate di saggi, conferenze, tavole rotonde ed altre trombonità del genere, aventi lo scopo di sensibilizzare le coscienze. La camorra è un fenomeno campano così come l’ilarità sta nel sangue di questo popolo a cui appartiene Pino Imperatore, a cui è appartenuto, Totò, Troisi, Eduardo De Filippo. A proposito di Eduardo, ricordate ne L’oro di Napoli. Ricordate ‘u pernacchio.
È stato più incisivo lui con un semplice pernacchio, che centomila discorsi sulle prepotenze della nobiltà quale residuo del dopoguerra.
E da Pino Imperatore, napoletano, ideatore e fondatore di un laboratorio di scrittura comica, cosa volevate aspettarvi nel trattare di camorra? Una storia drammatica? Un romanzo di denunzia tipo Gomorra’? … Forse ‘nu pernacchio, ma è già stato fatto, e allora? Allora l’idea. Prendere in giro ‘o sistema dal suo stesso interno, creando la famiglia di Tonino Esposito, orfano di un boss della camorra, che non ha altra ambizione nella vita che essere un “boss” come suo padre. Però Tonino è un incapace. È goffo, sfigato, arruffone. In buona sostanza è un perdente nato. E Pino lo consegna perdente dal primo all’ultimo capitolo, fino a creare un antieroe tragicomico, campionario devastante e magnifico di una Napoli depredata e crudele piena di speranze e contraddizioni.
Scardinare ‘o Sistema, che non ha neanche il piacere di essere nominato per quello che è, come dice lo stesso Pino Imperatore, e che paradossalmente quando non fa notizia, è molto più pericoloso di quando non impugna le armi e non uccide, è compito assai difficile e nessuno ha la pretesa di risolverlo in un romanzo, però ironizzarlo dal suo interno equivale ad un esorcismo. Comico, ma sempre di esorcismo si tratta e allora cosa c’è meglio di ‘nu pernacchio? ‘naltro pernacchio e Tonino è ‘nu pernacchio in faccia alla camorra stessa. Ed è devastante perché viene dal suo interno.
Altro aspetto che colpisce il lettore, indubbiamente da sottolineare, è la gran capacità di Pino Imperatore nel descrivere fin dal primo capitolo, la psicologia dei protagonisti, e di descriverla così bene senza paroloni, situazioni o amminchiamenti vari, da farti entrare come ospite fisso in questa famiglia e farne parte per 260 pagine. Solo gesti, abitudini. Un esempio è già nell’incipit e non aggiungo altro:
Patrizia Scognamiglio coniugata Esposito veniva ritenuta, nel giudizio del maschio medio napoletano, una femmina fresca e tosta. Lei ne era consapevole, e se ne compiaceva.
Quella sera si guardò le unghie delle mani laccate di verde e si convinse di aver scelto la tinta più idonea per chiudere l’anno alla grande. Slacciò un bottone della camicetta per sistemarsi una bretella del reggiseno che a fatica reggeva due poppe quinta taglia naturale, ripassò un’ultima pennellata di fard sugli zigomi e s’avviò verso il corridoio. Gli stivaletti maculati tacco tredici le tormentavano i calli sui mignoli, ma il sacrificio era necessario.
Giunta sulla soglia della camera da pranzo, osservò la truppa e fece un sorriso d’approvazione.
“Tutto in ordine, tutti ai loro posti” pensò scostandosi dalla fronte un ciuffo della chioma ossigenata.
Si avvicinò alla tavola e si sedette alla destra di suo marito Tonino, anni trentacinque sciupati dalla calvizie e da una imbarazzante pancetta, brillantino all’orecchio sinistro, lampadato, ufficialmente disoccupato. E orfano di padre.
Tonino si piegò verso di lei e le sussurrò: “Patty sei la più bella fra tutte le belle”.
“Grazie, amò, tu sì ‘o core mio” rispose Patrizia. E stampò sulla guancia del consorte un cerchio di rossetto color prugna.
Tonino ebbe un fremito. S’era scervellato per l’intero pomeriggio alla ricerca di una frase unica, originale. Ora l’aveva pronunciata, con successo. La cena di San Silvestro poteva avere inizio. Con la famiglia al gran completo.
Si entra subito in casa Esposito. Si vive la famiglia, l’amicizia, il quartiere, il lavoro, la delinquenza e il tutto con estrema naturalezza, dove anche le situazioni anormali diventano spontanee.
Così la camorra con la sua quotidianità è osservata dal suo interno e dissacrata da un perfetto imbecille di nome Tonino Esposito figlio del boss Gennaro, del quale non riuscirà mai ad emulare le gesta.
Pino imperatore miscela alla perfezione, ironia e realismo, criminalità e normalità, umorismo e tragedia con un linguaggio in perfetto italiano, pieno di gag anche esilaranti che donano ai personaggi una napoletanità spontanea e genuina, arricchita dai dialoghi in dialetto partenopeo e dalla descrizione di luoghi e tradizioni fuori dai comuni stereotipi.
“Con un pernacchio così si può fare una rivoluzione” (Eduardo).
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