Bianco letale è il quarto romanzo della serie dedicata all’investigatore Cormoran Strike, personaggio di grande successo ideato da J. K. Rowling col nom de plume di Robert Galbraith. L’intera saga è stata pubblicata dalla casa editrice londinese “Sphere”, e per l’Italia dalla “Salani Editore”, monopolista della versione nostrana di tutte le opere dell’autrice britannica. Lei non ha bisogno di presentazioni, essendo la creatrice della serie di Harry Potter (circa 450 milioni di copie vendute in tutto il mondo) e di una sterminata e pluripremiata bibliografia, sia come scrittrice che come sceneggiatrice e produttrice cinematografica. Anche questo quarto capitolo diventerà (come i precedenti) una miniserie televisiva targata BBC: sarà intitolata “Strike”, si svolgerà in quattro puntate e vedrà protagonisti gli attori inglesi Tom Burke e Holliday Grainger.
La vicenda narrata si sviluppa nella primavera 2012, ambientata in una frizzate Londra appena uscita dal giubileo Reale e in febbrile attesa per i giochi olimpici. L’incidente scatenante è la denuncia di un giovane psicotico (Billy) che irrompe nell’agenzia investigativa di Cormoran Strike per denunciare un orribile crimine, avvenuto molti anni prima, quando Billy era ancora un bambino. L’investigatore – che sta vivendo un periodo di grande popolarità, dopo l’arresto dello squartatore di Shacklewell – rimane turbato dalle dichiarazioni del ragazzo. Sebbene quest’ultimo sia mentalmente disturbato e quindi poco affidabile, il detective decide di prenderlo sul serio e di indagare sul caso, che presto si intreccerà con quello relativo a due losche figure che stanno ricattando il Ministro della Cultura, il ricco e spocchioso conservatore Jasper Chiswell. Il protagonista Strike agisce sempre assieme alla deuteragonista del romanzo, la sua socia Robin Ellacott, con la quale prosegue il lungo e tormentato rapporto proveniente dai capitoli precedenti. I due formano in effetti una coppia magnetica, che si attrae e si respinge in un complesso gioco di relazioni interpersonali grazie al quale – dal punto di vista narrativo – il binomio funziona alla perfezione. Il cuore del romanzo è infatti il rapporto tra i protagonisti, i quali sono resi ancor più vividi dell’autrice che ne tratteggia con abilità il passato in modo che si mescoli allo svolgimento della trama, amalgamandosi perfettamente in essa e tinteggiandola come gocce di colorante che si spandono in un liquido denso e incolore.
Cormoran Blue Strike (dove “Blue” si vocifera sia in ossequio al gruppo musicale dei Blue Öyster Cult) ha un background molto solido: cresciuto in Cornovaglia, è un empatico e burbero investigatore privato classe 1974, dal passato burrascoso. È figlio della rockstar John Rokeby, il quale morirà di overdose senza mai averlo riconosciuto. L’arruolamento nell’esercito e la carriera militare nel sib (ramo investigativo della polizia militare inglese) sembrano allora offrire al giovane Cormoran una soluzione ai suoi problemi esistenziali, finché una mina antiuomo gli fa saltare la gamba destra durante una missione in Afghanistan. Tornato a Londra e terminata la convalescenza, nel 2010 decide di aprire un ufficio di investigazioni private in Denmark Street, ed è in questa fase che il lettore lo incontra per la prima volta.
Quello che forse non convince appieno è il vestito che l’autrice tenta di cucire addosso al detective cornovagliese, che invece calzerebbe a pennello al suo più celebre collega americano Philip Marlowe, icona “hard-boiled”. Questa spregiudicata operazione di alta sartoria fallisce perché la scrittura molto inglese e la prosa semplice e delicata della Rowling hanno poco da spartire con l’essenzialità caustica e poliziesca in stile Hammett o Chandler.
Forse per una questione di sensibilità femminile, questo limite non si palesa per la co-protagonista Robin Venetia Ellacot: una ragazza del 1985, molto determinata e tenace, permalosa e in costante conflitto con Matt (fidanzato e poi marito), il quale vorrebbe per lei un lavoro meno rischioso. L’attrazione della donna per Cormoran – di cui è socia, collega ed amica – è sempre in agguato e si manifesta in modo mutevole, sia sotto forma di alchimia chimica che di stima professionale.
Non solo Robin e Cormoran, bensì tutti i personaggi di “Bianco letale” – compresi quelli minori e secondari – sono molto ben costruiti e frutto di una notevole verve scritturale, che li fa apparire interessanti e originali.
Un vizietto che accompagna quasi tutte le opere della Rowling è quello della lunghezza del testo. Le quasi ottocento pagine che caratterizzano quest’ultimo romanzo non fanno certo eccezione. Certe lungaggini permettono all’autrice di esaltare la resa di ogni particolare, e al lettore di immergersi profondamente dentro la storia. La contropartita di una mancata potatura è un allentamento della tensione emotiva, che non riesce a eguagliare quella propria di un grande giallo, o di un riuscito thriller psicologico, nonostante il plot presenti tutte le stigmate del poliziesco: telefoni sotto controllo, travestimenti, spie, inganni, tradimenti, omicidi, doppi giochi, ricatti. Inoltre si ha sensazione che la serializzazione dei libri di Galbraith costringa in qualche modo l’autrice a lasciare un certo numero di situazioni (già abbastanza labirintiche) in uno stadio irrisolto, interlocutorio e aperto, in modo da consentirgli uno sviluppo nei titoli successivi.
Segnaliamo infine una curiosità, un piccolo giallo nel giallo: ogni capitolo del romanzo si apre con una breve citazione dall’opera teatrale Rosmersholm, di Henrik Ibsen. La trama del capolavoro del drammaturgo norvegese narra (in nuce) di una famiglia che viene gradualmente erosa da un tragico passato. Si potrebbe allora pensare che queste citazioni siano una sorta di chiave per la comprensione della serie di Cormoran Strike. Non è neppure da escludere che la Rowling abbia raccolto il succo dell’opera ibseniana reinventandola come romanzo centrale di questa saga.
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Articolo protocollato da Leonardo Dragoni
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