Dopo la terza uscita nel giro di due anni, Caccia alle ombre, sempre per Minimum Fax, possiamo affermare che non aver tradotto prima Herbert Liebermann in italiano è stato un grave errore. Cerchiamo di recuperare a cinquant’anni di distanza perché abbiamo a che fare con un maestro del noir, hardboiled, che, tanto per non fare nomi, non sfigurerebbe al paragone con un James Ellroy, senza scomodare il maestro Raymond Chandler, per non far entrare in campo i mostri sacri.
Drammaturgo e scrittore mai emerso agli onori del grande pubblico, Liebermann unisce la grande capacità di costruire un intreccio solido alla incredibile abilità nel disegnare un profilo psicologico credibile dei propri personaggi, che pescano nell’enorme e variopinto caleidoscopio dell’esercito dei borderline newyorchesi. A New York è infatti ambientata la sua terza uscita in italiano (così come le altre due) e alla straordinaria ambientazione che l’autore riesce a fornire al suo romanzo va sicuramente gran parte della godibilità di questo racconto.
I protagonisti di questo romanzo sono personaggi che avevamo già incontrato in precedenza. L’anatomo patologo Paul Konig di Città di morti, il capo dei coroner della città di New York e il detective della Polizia di New York Frank Mooney, de Il fiore della notte, sempre alla caccia di pericolosi serial killer. In questo caso, Mooney è alle prese con uno stupratore seriale (l’“ombra danzante”) che riesce a farsi aprire le porte di casa dalle proprie vittime e che uccide le proprie prede dopo averle stuprate e seviziate.
Mooney, sangue irlandese, è il classico detective irregolare, scontroso, anarcoide e ribelle che spesso e volentieri non rispetta le indicazioni dei superiori, assetati al contrario di potere e succubi di politici corrotti e senza scrupoli. Gran bevitore e mangiatore, ha la passione per i cavalli e, di solito, le telefonate dei suoi collaboratori che gli annunciano nuovi sviluppi dei casi seguiti lo trovano intento a scommettere sul “cavallo sicuro” di turno. Cinico e a tratti svogliato, ma anche geniale e per nulla convenzionale, è tenuto a bada dalla moglie Fritzi, donna di classe che gestisce uno dei bar-ristoranti più esclusivi della città.
Mooney deve interagire con il dottor Konig, che insieme alla sua squadra effettua le autopsie delle vittime dell’“Ombra danzante”, ma i due, dal carattere troppo simile, si detestano (o si amano profondamente?) e arrivano alle loro conclusioni grazie a scontri che Liebermann organizza sempre molto bene, perennemente sospesi tra la farsa e la tragedia, alle prese con l’odio-amore Konig-Mooney che è una delle parti più riuscite del romanzo. Alla fine solo una grandiosa intuizione di entrambi riuscirà a dare una svolta alle indagini.
Liebermann descrive la città di New York con una maestria incredibile. Leggendo i suoi romanzi si percepisce immediatamente l’amore incondizionato che nutre nei confronti della sua città natale. Lo scenario tipico nel quale si svolgono le sue storie sembrerebbe anticipare di almeno dieci-quindici anni la passione per il legal-forensic thriller le cui serie hanno oggi invaso tutti i canali televisivi. Il suo talento trapela anche da questo: dentro i crimini più efferati che si svolgono in questo scenario si cela in realtà, nei personaggi che si stagliano sullo sfondo, la profonda e enorme umanità e cultura che questa città ha e conserva. E i Mooney e i Konig che ne sono gli attori principali, dietro la loro scontrosità e ribellione apparente, sono gli eroi di un mondo popolare fatto da quegli immigrati (la madre di Liebermann arrivò a New York con il Lusitania) che negli anni gli hanno dato successo e splendore.
Recensione di Giuliano Muzio
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