Il cane giallo (titolo originale francese Le chien jaune) è il sesto romanzo dedicato da Georges Simenon alla saga Maigret. Il romanzo fu scritto nel marzo del 1931 presso il castello de la Michaudière di Guigneville, nei pressi di La Ferté-Alais (Francia) e pubblicato, nell’aprile dello stesso anno, dall’editore Fayard.
In Italia fu pubblicato da Mondadori nel 1932 con il titolo Il cane giallo (traduzione di Guido Cantini) nella collana “I libri neri. I romanzi di Georges Simenon”. Sempre per Mondadori, il romanzo fu ripubblicato con il titolo Maigret e il cane giallo (I° edizione Omnibus Mondadori, 1947). Sempre per la stessa casa editrice e con lo stesso titolo ma con la traduzione di Roberto Cantini fu pubblicato più volte (I° edizione I libri del Pavone, 1964; I° edizione Le Inchieste del Commissario Maigret, 1966; I° edizione Oscar Mondadori, 1974). Nel 1988 Mondadori lo fece tradurre nuovamente da Emanuela Fubini, mantenendo lo stesso titolo (I° Edizione “Oscar Gialli”, dicembre 1988). Nel 1995 la casa editrice Adelphi pubblicò il romanzo nella collana Le inchieste di Maigret, rispolverando il primo titolo con il quale era comparso in Italia: Il cane giallo (traduzione di Marina Verna).
Trama
Nel piccolo porto francese di Concarneau situato nella regione della Bretagna, il commerciante di vini Mostaguen viene ferito da una pallottola, sparata attraverso la buca delle lettere di una casa disabitata. Nei pressi della casa viene avvistato, per la prima volta, un grosso cane giallo che nessuno sa a chi appartenga. Maigret da un mese è stato distaccato alla Squadra mobile di Rennes dove si devono riorganizzare alcune sezioni, e deve perciò occuparsi del caso insieme al giovane ispettore Leroy.
Il giorno dopo, al Café de l’Amiral, Maigret, l’ispettore Leroy, il dottor Michoux, Le Pommeret e Jean Servières stanno per prendere l’aperitivo, quando il dottore, guardando il suo bicchiere, scopre che la bottiglia del pernod è avvelenata.
Non passano ventiquattro ore e la cittadina è scossa dalla notizia che Jean Servières è scomparso: la sua macchina viene ritrovata sporca di sangue. Tutti questi accadimenti sono resi ancora più inspiegabili dal fatto che un cane giallo appare e scompare sempre nei pressi dei luoghi del delitto, tanto che gli abitanti pensano che si tratti di un presagio di morte.
Maigret, aiutato dal giovane Leroy, vaga meditabondo per il paese cercando di svelare la verità, che sembra legata alla misteriosa presenza del cane giallo. Anche se tutti gli indizi sembrano indicare che l’assassino sia Leon, un violento e gigantesco vagabondo, e il sindaco del paese vorrebbe subito un colpevole, il commissario non smette di scavare nel passato di Concarneau e dei suoi abitanti, fino ad arrivare ad un commovente e sorprendente finale.
Perchè leggere Il cane giallo
Il cane giallo è il sesto degli otto Maigret scritti tra il marzo e il dicembre del 1931 da Simenon. Di questi primi Maigret è probabilmente quello con la trama più misteriosa e affascinante. Secondo il mio parere si tratta anche del migliore.
Come accade in molti suoi romanzi, Simenon introduce subito il lettore nel luogo e nell’atmosfera della storia: la piccola cittadina di Concarneau. Simenon ci riesce usando brevi passi, stilizzati ma intensi. Lo scrittore accenna più che descrivere: uno stile più poetico che narrativo. Ne scaturisce una raffigurazione quasi pittorica della provincia francese.
Concarneau è deserta. L’orologio luminoso della città vecchia, che si intravede al di sopra dei bastioni, segna le undici meno cinque. La marea ha raggiunto il suo culmine ed un forte vento di sudovest fa cozzare una contro l’altra le barche ormeggiate nel porto. Il vento si infila nelle strade, dove ogni tanto si vedono pezzi di carta svolazzare rasoterra a gran velocità.
Sul quai de l’Aiguillon non una luce. Tutto è chiuso. Tutti dormono. Soltanto le tre finestre dell’Hôtel de l’Amiral, all’angolo tra la piazza e il molo, sono ancora illuminate …
Concarneau, battuta dal vento, fa da sfondo simbolico alla torbida tragedia che si nasconde tra le ombre delle case e negli animi dei personaggi. Per apprezzare appieno lo stile di Simenon, vale la pena citare anche un passo verso la fine del romanzo:
Il cielo pareva lavato di fresco. Era azzurro, di un azzurro un po’ pallido ma vibrante, nel quale scintillavano nubi leggere.
Di fatto, l’orizzonte era più ampio, quasi fosse stato aperto un varco nella calotta celeste. Il mare, di una calma assoluta, luccicava, trapunto di piccole vele simili a bandierine piantate con uno spillo su una mappa dello Stato Maggiore.
In effetti, basta un raggio di sole per trasformare Concarneau, perché i muri della città vecchia, così lugubri sotto la pioggia, diventano allora di un bianco festoso, smagliante.
(tratto da Il cane giallo – Adelphi collana Le inchieste di Maigret, 1995)
Segue la “muta” descrizione del ferimento di Mostaguen (se si eccettua il rumore dello sparo), quindi, per contrasto, quella “acustica”, realistica e caustica del vociferare su quanto accaduto della variegata fauna che affolla la piccola cittadina di mare. Simenon riesce a darci la sensazione di trovarci immersi tra la gente. Lo scrittore belga viaggiava molto e una delle cose che amava di più, quando arrivava in una nuova città, era entrare nei negozi e nei bar e ascoltare le persone che frequentavano quotidianamente quei luoghi; e proprio come Maigret lo faceva in silenzio, osservando attento tutto ciò che gli accadeva attorno. È questo un tema ricorrente nei suoi romanzi. Ed è proprio, in queste prime pagine, che Simenon inizia a caratterizzare i personaggi del romanzo, evidenziando il contrasto esistente tra il popolo che lavora e suda e la pigra borghesia di provincia.
Dopo La testa di un uomo, opera anomala nella saga dedicata a Maigret, Simenon con Il cane giallo torna allo schema classico:
- delitto iniziale;
- Maigret vaga quasi come un sonnambulo nei luoghi dove si è svolta la violenza;
- Maigret segue più il suo istinto che le prove;
- Maigret indaga sul passato delle vittime.
Questo romanzo ripropone comunque alcune invenzioni dal precedente romanzo:
- la lettere scritta con la mano sinistra (e quindi difficilmente identificabile) e inviata anonimamente ad un giornale;
- il ritrovo presso il Café de l’Amiral, molto simile alla caffetteria della “Coupole”, luogo dove Maigret ha la possibilità di ascoltare e osservare i personaggi principali della storia;
- gli indizi che accusano ingiustamente un povero diavolo.
Simenon riprende, inoltre, qui la sua antipatia per i borghesi boriosi e nullafacenti, rappresentati ne “La testa di un uomo” da William Crosby e ne “Il cane giallo” da alcuni frequentatori assidui del Café de l’Amiral. Essi passano le giornate al Cafè bevendo, giocando a carte o pagando le ragazze più povere per qualche ora di compagnia.
“Vede, io ho capito che lei guardava senza simpatia il nostro gruppo del Café de l’Amiral… E quelle serate intorno al tavolo di un caffè in compagnia di altri falliti come me…
“Ma che cosa avrei potuto fare?… I miei genitori spendevano molto pur non essendo ricchi… A Parigi succede spesso… Sono cresciuto nel lusso… La villeggiatura nei posti più eleganti…
(tratto da Il cane giallo – Adelphi collana Le inchieste di Maigret, 1995)
In questo romanzo, più che nei precedenti, Simenon ci tiene a evidenziare la “tecnica” investigativa basata sull’intuizione e l’istinto del suo commissario, mettendola in contrasto con quella “deduttiva” degli altri scrittori di gialli (proprio in questi anni il pubblico ama molto leggere i detectives deduttivi come Sherlock Holmes, Poirot ed Ellery Queen). Per farlo, utilizza un nuovo personaggio: il giovane ispettore Leroy. Questi raccoglie metodicamente prove e impronte, e utilizza i nuovi strumenti tecnologici della scientifica; Maigret, invece, sbuffa con la sua pipa e osserva in silenzio le facce e i comportamenti delle persone.
“Lei è fortunato, ragazzo mio! Soprattutto in questo caso, nel quale il mio metodo è stato proprio quello di non averne… Vuole un consiglio? Se ci tiene a una promozione, non mi prenda come esempio e non cerchi di ricavare teorie da quello che mi vede fare…”.
“Eppure… noto che adesso anche lei arriva agli indizi materiali, dopo che…”.
“Appunto, dopo! Dopo tutto! In altre parole, ho preso questa inchiesta dal rovescio, il che non m’impedirà magari di prendere la prossima dal dritto…
Una questione di atmosfera… di facce… Arrivando qui, mi sono trovato davanti una faccia che mi è piaciuta e non l’ho più mollata…”.
Il commissario è come un muto confessore che ascolta e non giudica. Forse per questo le persone amano confidarsi con lui, come fa il dottor Michoux.
“Quello che le racconto forse non è bello… Ma io l’ho osservata. Ho l’impressione che lei sia in grado di capire…
“È facile per i forti disprezzare i vigliacchi… Ma se solo cercassero di individuare le cause profonde della vigliaccheria…
(tratto da Il cane giallo – Adelphi collana Le inchieste di Maigret, 1995)
Maigret fruga nelle coscienze di coloro che incontra, li guarda negli occhi, li ascolta, osserva i loro comportamenti e scopre i loro difetti.
Bellissimo il personaggio di Emma la cameriera; il più riuscito di tutto il romanzo. Simenon le concede di entrate rare volte in scena e per poche e brevi battute, eppure è la sua immagine quella che rimane indelebilmente fissa nella mente del lettore (insieme a quella del cane giallo naturalmente). Il ritratto di Emma, visto con gli occhi di Maigret, è quello di una cameriera con l’uniforme bianca e nera, il volto privo di grazia, gli occhi infossati, le labbra sottili, i capelli spettinati. Una ragazza che dà l’impressione di non tenere al proprio aspetto. Tutto il suo atteggiamento pare essere caratterizzato dall’indifferenza. Questo cambierà dopo l’incontro con il suo uomo, che credeva di avere perduto e che la ama ancora. Allora Emma si specchierà su un vetro rotto, avvolgerà i lunghi capelli e li fisserà con una forcina. Giustamente Adelphi ha inserito il personaggio di Emma in copertina.
C’era in lei un’umiltà esagerata. I suoi occhi cerchiati, il suo modo di muoversi senza far rumore, senza sfiorare le cose, quel suo fremere d’inquietudine alla minima parola, corrispondevano abbastanza all’idea che ci si fa della serva abituata ad ogni durezza. Sotto quelle apparenze si sentivano però come dei sussulti di orgoglio, che lei si sforzava di non lasciar trasparire.
Era anemica. Il suo seno piatto non era fatto per risvegliare i sensi. Eppure c’era qualcosa di attraente in lei, qualcosa di torbido, di avvilito, di vagamente morboso.
(tratto da Il cane giallo – Adelphi collana Le inchieste di Maigret, 1995)
Se “La testa di un uomo” è il romanzo dell’attesa, “Il cane giallo” è il romanzo della PAURA. Fattore scatenante di tutto ciò che accade, fin dall’inizio della storia, è infatti la paura: l’assassino che spara attraverso una buca delle lettere; Goyard che si fa credere morto; tutti gli abitanti sono terrorizzati dalla presenza del grosso cane giallo; l’avvelenamento di Le Pommeret; il medico del paese che appare di giorno in giorno sempre più spaventato; il ferimento del cane giallo. Durante la spiegazione finale, è lo stesso Maigret a sottolineare come sia stata la paura a governare gli eventi:
“Vorrei parlarvi più a lungo della paura, perché alla base di tutta questa storia c’è proprio la paura …
(tratto da Il cane giallo – Adelphi collana Le inchieste di Maigret, 1995)
È doveroso terminare con un accenno al meraviglioso e inaspettato colpo di scena finale, e non sto parlando del nome dell’assassino (a metà romanzo si intuisce già il suo nome) ma della sorpresa che Simenon tiene in serbo nelle ultime pagine. Chi leggerà il libro, e consiglio vivamente di farlo, resterà colpito dalla commovente rivelazione finale, anche perchè essa permetterà, agli amanti della saga di Maigret, di aggiungere un importate tassello al puzzle che costituisce la complessa umanità del nostro commissario. Di più non posso dirvi perchè vi rovinerei la sorpresa …
Il film Le chien jaune del 1932
Le chien jaune fu girato da Jean Tarride nel 1932, con Abel Tarride, padre del regista, nel ruolo di Maigret. È questa la seconda pellicola con protagonista il famoso personaggio creato da Simenon; pochi mesi prima il regista Jean Renoir aveva girato La notte dell’incrocio tratto da La nuit du carrefour.
Si tratta di un libero adattamento del romanzo di Simenon. Il film inizia allo stesso modo del libro, con Mostaguen ubriaco che viene ferito da una pallottola, sparata attraverso la buca delle lettere di una casa disabitata, e la visione notturna della bella città di Concarneau spazzata dal vento. La fedeltà al testo dello scrittore belga si ferma qui (se si eccettua la scena dell’appostamento di Maigret sopra il tetto dell’albergo), il regista Tarride preferisce poi affidarsi ad una sceneggiatura piuttosto confusa che pare assemblare le scene per accumulo più che per senso narrativo. Tarride non usa neppure lo splendido colpo di scena finale ideato da Simenon. Quasi tutto il film è girato all’interno del Café de l’Amiral, tanto che pare di vedere un’opera teatrale più che una pellicola cinematografica. Belli i pochi esterni che mostrano le antiche mura della città e la vita dei pescatori, e suggestiva l’atmosfera nebbiosa di alcune sequenze; ma non bastano per salvare il film.
Abbastanza convincente l’interpretazione di Abel Tarride come Maigret (forse un po’ troppo vecchio per la parte), anche se pare che Simenon non ne fosse per nulla contento. Perfetta, invece, la scelta dell’attrice Rosine Deréan per la parte della cameriera Emma, che pare essere uscita dalla penna stessa di Simenon:
Doveva aver trovato da qualche parte un pezzo di specchio. Adesso la si vedeva, in piena luce, avvolgere i lunghi capelli, fissarli con una forcina, cercarne per terra un’altra che aveva perso e tenerla in bocca mentre si metteva in testa la cuffia.
Era quasi bella. Anzi, era bella! Tutto in lei era commovente, persino i fianchi magri, la gonna nera, gli occhi arrossati.
(tratto da Il cane giallo – Adelphi collana Le inchieste di Maigret, 1995)
In conclusione si tratta di un’opera minore e dimenticabile, un’altra di quelle pellicole che giustifica l’antipatia dello scrittore belga nei confronti del cinema.
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