In una città i bambini si sono messi a cantare, nei sotterranei, nei grattacieli abbandonati, quando i genitori dormono. Cantano tutti insieme, componendo una musica che è di pace raggiunta e insieme di dolore inestirpabile. È un nuovo suono nell’eternità notturna perché i bambini che cantano sono stati uccisi e questa è la Città dei Morti.
Un poliziotto morto decide di indagare il canto dei bambini, un poliziotto ucciso solo tre anni prima mentre investigava su una serie di brutali omicidi seriali compiuti da assassini in abito da sposa. Si chiama D’Arco.
Mettiamo subito le cose in chiaro. Questa è una storia diversa e ve la racconterò in modo diverso. Ve la racconterò come potrò e vorrò, e vi racconterò solo quello che si potrà raccontare. Vi farò vedere solo una piccola parte di tutto l’orrore che ho visto, perché io non voglio inorridire nessuno, non voglio scandalizzare nessuno. Non è per questo che ho combattuto una tale battaglia e non è per questo che ve la sto raccontando.
D’Arco, il protagonista della saga thriller di Antonio Moresco, comincia una lotta continua, feroce, in una corsa contro il tempo mentre il Tempo è un’invenzione degli uomini e la gabbia degli umani, vivi o morti che siano.
Lotta e battaglia sono infatti i termini più adeguati allo svolgimento triplice del Canto di D’Arco. Per provare a fermare gli omicidi e così, forse, il canto dei bambini, D’Arco non può far altro che armarsi e andare alla fonte del male: la Città dei Vivi.
Nelle tre parti di cui si compone la trilogia la Città dei Vivi sembra giunta a un collasso sociale, morale e climatico ormai irrecuperabile. La polizia è incapace di fermare l’epidemia di violenza. D’Arco e i suoi compagni si trovano a combattere scena dopo scena, capitolo dopo capitolo, contro l’intera cosmogonia della violenza e dell’orrore della letteratura thriller e horror: assassini in costume, produttori di snuff movie, trafficanti d’organi, gruppi criminali dedicati alla tratta di esseri umani, terroristi antinatalisti, serial killer e stupratori.
Tutti vengono affrontati in scene di lotta con armi bianche, da fuoco e in corpo a corpo. Tale è la quantità di azione nella trilogia, di nemici sempre diversi e identificabili, così Moresco usa sapientemente le tecniche di resa delle scene d’azione della narrativa come del cinema.
Ci siamo buttati dietro un altro container.
Ho aspettato.
Nessuno si era accorto di niente, nessuno sparava.
D’un tratto ho visto due uomini camminare a poca distanza da noi, allo scoperto, bisbigliando qualcosa nel buio.
Si stavano avvicinando al punto dove ci trovavamo prima e non sospettavano che noi invece eravamo da un’altra parte e li potevamo vedere.
Allora ho fatto un passo di lato, ho sparato una raffica lunga e li ho abbattuti.
Si è scatenato l’inferno.
La tensione è garantita in tutto il libro da un senso di precarietà continua, del nemico a ogni angolo in città che sembrano ormai singleton senza fine, confini e ordine di qual si voglia tipo, dal thrilling presente anche quando gli spari si placano e l’eroe si ferma e si aggiungono parti immersive, lunghi e brevi monologhi. Le battaglie di D’Arco sono come continue ed è una esistenziale, contro l’essere nel mondo.
La prima parte di questa trilogia era già uscita con il titolo L’addio, Giunti. Adesso, riscritta completamente, azione e riflessione si alternano senza soffocare capacità e originalità di scene e personaggi, ha certamente trovato un senso di indiscutibile valore letterario in un vero thriller d’azione “metafisico”. La velocità intrinseca del genere thriller, la violenza mostrata e suggerita, adesso si combinano in modo potente con le istanze del post-umano tanto caro a certa letteratura italiana.
Il detective D’Arco è un personaggio duro, costretto a vivere con traumi indicibili che lo perseguitano anche dopo la morte. È un personaggio da hard boiled, solido, con un’etica guerriera e capacità di combattimento da supereroe. Così infatti va considerato D’Arco e la sua epica: un supereroe invincibile di fronte all’ineluttabilità del Male.
L’origine del Male è un arcinemico, l’Uomo di Luce. Che questo sia il boss finale, un supercriminale estinzionista o la rappresentazione del Miracolo e dell’Orrore dell’esistenza mortale sta al lettore deciderlo.
Così come è il lettore a dover decidere se la Marea di buio che, viscosa e inafferrabile, circonda la città nel terzo libro della trilogia, sia la rappresentazione del pericolo, non davvero conoscibile, del cambiamento climatico della fine dell’Olocene.
Per tutti però l’intrattenimento, nella combinazione di thrilling e riflessione, è garantito.
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