Cella numero 23 - Manuela Maccanti

Cari avventori del Thriller Café, oggi ho il compito di recensire il lavoro di una “collega” aiuto-barman, Manuela Maccanti. In particolare, ho da poco terminato la lettura di “Cella numero 23”, il suo ultimo romanzo edito da Sette Chiavi nella collana Zeiss. C’è sempre un surplus di emozione nell’accostarsi ai lavori degli aiuti-barman e spero proprio che questo renda la mia esposizione ancora più convincente.

Parto da un dato di fatto. Ho divorato questo romanzo. Non che non mi capiti anche in altri casi, ma è sicuramente indice del fatto che l’opera si fa leggere con molto piacere e ci tiene incollati alle pagine, che per come la vedo io è un fattore di grande importanza. La storia parte in un certo senso dal titolo, siamo cioè all’interno della cella 23, dove ci sono due detenuti, Donato e Jack che dialogano tra loro. Donato rivela a Jack di essere stato arrestato per il delitto del fratello Samuele, il cui corpo è stato rinvenuto con la gola tagliata e con una scritta sul petto fatta con il suo stesso sangue: ”Un giorno più nero di ogni notte”. Il lettore è così accompagnato dal racconto di Donato all’interno della propria famiglia di origine, la famiglia Pallavisini, perché, si sa, noi siamo quello che le nostre famiglie hanno contribuito a farci essere. Ma, come in tutti i thriller, nulla è come appare e dal racconto emergerà, con una procedura che ha molto dell’analisi in senso psicanalitico, la soluzione del nostro caso.

La trama si sviluppa come un susseguirsi di ricordi e racconti, dove il confronto serrato tra Jack e Donato si allarga quasi subito al comparire di altri personaggi della famiglia di Donato. Il ritmo è incalzante e avvolgente e questa tecnica narrativa rende maggiormente fluida la scrittura, che è già di per sé piana e scorrevole, senza per questo essere banale. Il primo punto a favore del romanzo è quindi il modo nel quale è scritto e sviluppato, evitando punti morti ed eccessive deviazioni dalla struttura principale.

La Maccanti è interessata alla dimensione psicologica dei personaggi molto più che all’ambientazione, che in ogni caso è resa molto bene, sia per quanto riguarda la cella, sia per gli “esterni”, che si svolgono in Maremma, luogo nel quale vive la famiglia Pallavisini. Ma è nel continuo alternarsi tra i dialoghi espliciti e le riflessioni interiori dei personaggi che a mio avviso l’autrice ha il suo punto di forza. Noi siamo non solo quello che dichiariamo all’esterno, ma molto di più. Custodiamo dentro di noi mondi interi, che si alimentano continuamente grazie a sogni, paure, immaginazione, proiezioni. E, soprattutto, abbiamo in noi le più abissali oscurità (“anch’io sono intraducibile, emetto il mio barbarico urlo sopra i tetti del mondo” diceva il Walt Whitman di “Contengo moltitudini”).E sono proprio questi abissi che affascinano la Maccanti, la quale riesce a fornircene una rappresentazione letteraria molto vivida, costruendo un quadro d’insieme fascinosamente claustrofobico. In più, c’è una capacità di “sceneggiare” il romanzo quasi come fosse un’opera teatrale o cinematografica, proprietà che insieme alle precedenti rende veramente molto efficace la drammatizzazione. Donato Pallavisini è chiaramente un Norman Bates dei giorni nostri, come la stessa autrice non riesce a far a meno di esplicitare in un passaggio del romanzo. E i suoi dialoghi con Jack nella cella sono molto vicini al teatro dell’assurdo di Harold Pinter. Ed è proprio con una citazione di Pinter che mi ha sempre molto colpito che vorrei concludere questa recensione. “Ci ricordiamo di cose che potrebbero non essere mai successe”, diceva il drammaturgo inglese. Adattissima a “Cella numero 23”, per il quale non ci resta che ringraziare Manuela Maccanti.

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Cella numero 23
  • Maccanti, Manuela (Autore)

Articolo protocollato da Giuliano Muzio

Sono un fisico nato nel 1968 che lavora in un centro di ricerca. Fin da piccolo lettore compulsivo di tante cose, con una passione particolare per il giallo, il noir e il poliziesco, che vedo anche al cinema e in tv in serie e film. Quando non lavoro e non leggo mi piace giocare a scacchi e fare attività sportiva. Quando l'età me lo permetteva giocavo a pallanuoto, ora nuoto e cammino in montagna. Vizio più difficile da estirpare: la buona cucina e il buon vino. Sogno nel cassetto un po' egoista: trasmettere ai figli le mie passioni.

Giuliano Muzio ha scritto 143 articoli: