Protagonista oggi su Thriller Café è Sasha Naspini, che dopo la bella sorpresa de I cariolanti torna sulle nostre pagine con il suo romanzo uscito per Perdisa: Cento per cento. Eccovelo recensito…
Titolo: Cento per cento
Autore: Sasha Naspini
Editore: Perdisa
Anno: 2011
Trama in sintesi:
“Sono nato pugile, con la testa da pugile, il modo di camminare da pugile e tutto il resto. Al cento per cento. Non al settanta o al novantanove. Al cento per cento, signori miei. E uno così, in questo mondo di pugili al sessanta e all’ottanta per cento, fa baldoria, credetemi”. Così si presenta Dino Carrisi, immigrato italiano che ha iniziato con gli incontri clandestini per poi diventare due volte campione del mondo. Un grande boxeur che avrebbe continuato a vincere, se non fosse finito in carcere per l’omicidio della moglie. Da anni vive barricato in casa, malandato, scontroso, dedito al fumo e all’alcol. Oggi però ha deciso di concedere un’intervista in esclusiva. Ed ecco il documento integrale di quell’intervista, ecco che dalla sua voce affiora lo spettacolo di una vita non comune, dai primi incontri illegali alle luci sfavillanti della fama, dall’amore al rapporto con il suo allenatore, e poi gli incontri, i pugni, le sfide. Ad affiorare, però, sarà anche un’altra verità, una verità che arriva alla fine come un cazzotto ben preparato e assestato: il degno finale per un campione incapace di finire al tappeto.
È la rabbia l’anima del romanzo. La sua essenza stessa.
Sei capitoli, come sei round. Dove all’inizio i due pugili si studiano e al sesto uno dei due è ko.
Sei capitoli. Sei round. Tra Dino Carrisi e Dean La Palma. Il primo all’angolo lo conosciamo tutti con i soprannomi di Piede di Porco, Cerino, Corsaro, Nebbia Rossa e altri non è che l’italoamericano due volte campione del mondo; il secondo è un giovane giornalista rampante che conduce un programma di successo per la televisione americana Gli occhi dell’anima.
Il combattimento si svolge nel Vermont, New Ingland; l’appartamento da dove dieci anni si è barricato Dino Carrisi dopo essersi ritirato dalla box. Dieci anni fuori dal mondo chiuso in quattro mura, senza donne, senza soldi, in compagnia solo del fumo, dell’alcool e della televisione sportiva che ancora lo tiene collegato al mondo.
Il match fin dalle prime battute è molto cruento, perché il giovane giornalista è determinato e soprattutto tenace nell’inseguire il suo scoop televisivo. Agisce con l’esperienza di un vecchio cronista e l’imprenditorialità di un rampante direttore di giornale, e facendo leva sui deboli meccanismi che hanno spinto il pugile ad uscire dal suo esilio volontario (all’apparenza semplici motivi economici), inizia a condurre la ripresa con decisione, ma sbaglia tutto, perché davanti a sè trova un pugile vero. Uno, come ama definirsi lui stesso, al cento per cento. E Carrisi è “nato pugile, con la testa da pugile, il modo di camminare da pugile e tutto il resto. Al cento per cento, non al settanta o al novantanove, al cento per cento, signori miei.”
Carrisi è uno che al cento per cento non ha solo combattuto sul ring, ma ha anche vissuto la sua stessa vita, dove tutto, le donne, l’alcool, il fumo, il linguaggio, è stato spinto fino all’eccesso, fino all’omicidio, e dove ogni sentimento, ogni azione, ogni tutto è estremo, così come l’amore, la rabbia, la vendetta, il silenzio.
Carrisi sa anche lasciarsi perdere al cento per cento, e al contempo sa anche uscire di scena come un vecchio pugile che ha combattuto nel quadrato senza risparmiare un colpo, e gli ultimi, li tira al giornalista, al pubblico, a noi. Vincendo da sconfitto l’ultimo round contro i veri avversari di sempre: “Se stesso e la vita.”
Sarebbe troppo facile recensire questo libro fornendo anticipazioni sulla trama, e soprattutto su quei meccanismi sociali e psicologici che hanno portato il protagonista a vivere all’estremo (solitudine, emigrazione, aspetti economici, media, eccetera). Se scrivessi questo toglierei il piacere della lettura e scadrei nello stereotipo recensivo, pertanto non lo farò. Voglio solo dire che Naspini, in questo suo breve romanzo di appena centodieci pagine, senza fronzoli, e con un linguaggio diretto ed essenziale, sotto la difficile forma narrativa dell’intervista (e lo sottolineo), è riuscito a descrivere magistralmente un personaggio del tutto inventato come il pugile Dino Carrisi, e a renderlo umano e credibile, fino all’inverosimile, e Dino è un soggetto letterario che ricorderemo per lungo tempo perché è un uomo arrabbiato. Perché la sua rabbia è descritta fin troppo bene, come un solco da percorrere ogni giorno per tutta la vita, e lo ricorderemo anche per il suo senso d’impotenza e abbandono che lo pervadono fuori dal ring, insieme alla sua mancanza assoluta della comprensione della vita, perché Carrisi non ha capito proprio niente della vita, l’ha solo vissuta al cento per cento, con arroganza, ignoranza, creduloneria, sbagliando e risbagliando.
Carrisi è un personaggio nato per la box, che ha vissuto per questo e che adesso, dopo le sciagure e con la vecchiaia, non riesce e non vuole andare al tappeto. Vive al cento per cento e vuole vincere anche la sua ultima sfida con il suo amato/odiato mondo dello spettacolo e proprio come un uomo di spettacolo rientrerà per congedarsi dalle scene mettendo a knockout il suo avversario di turno: il giornalista che lo sta intervistando. Una degna uscita di scena, forse l’ultima, ma non credo. Bravo Sacha.
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