Chiamami buio, non è un libro per tutti. Assolutamente No! Vi trascrivo l’inizio così vi fate subito un’idea.
La testa della zoccola annuisce sul mio uccello dritto, seguendo docilmente i movimenti delle mie mani e mantenendo la giusta velocità da crociera.
Da brava puttana professionista, ha sempre saputo come usare al meglio la sua boccuccia, sicuramente rifatta da qualche chirurgo plastico, per dare piacere alla clientela.Lui, seduto dietro, mugugna, assistendo alla scenetta da film porno di terza categoria. Mugugna e sanguina dagli occhi pesti, il gran bastardo.
E io mi diverto troppo. Godo davvero come un matto ficcarlo in bocca alla sua troia, fino alle palle, mentre lui, legato come un fottuto salame e imbavagliato con del nastro adesivo da imballaggio, è costretto a starmi a guardare che me la passo alla grandissima.
Allora siamo d’accordo. Non è una lettura per tutti, ma per chi piace il genere pulp “Chiamami Buio” deve rappresentare un testo di riferimento italiano.
Buio è uno sbirro strafatto di cocaina dalla personalità borderline. Vive e lavora a Milano, che ovviamente odia, ma questo è il minimo sindacale. Odia anche il prossimo suo che non rispetta affatto ad eccezione del fratello prete, unico suo legame con la famiglia. Per il resto è piuttosto corrotto, odia anche la legge in seguito ad un trasferimento punitivo e approfittando del suo ruolo e di qualche collega come lui, mette in piedi delle vere associazioni a delinquere dedite al traffico di droga e prostituzione, non disdegnando l’opportunità del crimine occasionale, dei ricatti ecc. ecc.. È piuttosto comprensibile che un personaggio così abbia dei nemici giurati che lo vogliano uccidere e proprio da uno tentativo andato a vuoto di farlo fuori si dipana una vicenda incalzante, ricca di colpi di scena fino al suo epilogo imprevedibile e spietato.
Recensire “Chiamami Buio” di Massimo Rainer non è semplice. La prima domanda che mi sono posto è stata a quale genere letterario assimilare quest’opera. Pulp? Hard-boiled? Poliziesco? O semplice spazzatura? Punti di contatto fra questi generi ne ho riscontrati abbastanza, ma erano molti e spesso contraddittori, soprattutto con l’Hard-boiled, perché se è vero che con questo genere Buio ha in comune il suo modo di agire solitario, l’anaffettività che lo vede inadeguato a farsi una famiglia, il bazzicare luoghi malfamati, l’essere sempre senza un centesimo, l’esagerazione nel bere e fumare, nonché un linguaggio piuttosto gergale, ha pure in netta contrapposizione con il genere Hard-boiled, l’assenza totale di giustizia nonostante sia un servitore dello stato, il perseguire sempre e solo i suoi loschi traffici, oltre a spingere all’eccesso tutto quello che fa male, come fumo, alcol, e droga in particolare. Anche il sesso è piuttosto sovrabbondante come il linguaggio spesso volgare. Poi con i mentori del genere come Sam Spade di Hammett o Philp Marlowe di Chandler, Rainer con il suo “Chiamami Buio” ha proprio pochissimi punti un comune e inoltre, in questo romanzo, manca l’indagine, in pratica, la cosa essenziale. E manca pure la narrazione di una società radiografata nel suo malessere, con le sue storie di disadattati, corrotti e corruttori, delinquenti e donne che sanno tradire. Mancano del tutto le figure positive, l’unica presente è ed ha il difetto di essere rassegnata alla sua stessa positività. Insomma Rainer e Buio hanno poco in comune con l’Hard-boiled e credo anche che sia ai limiti dello stesso sottogenere Pulp perché ogni situazione è esasperata fino al paradosso. Perché tutto è sempre spinto oltre l’eccesso, linguaggio compreso. In Chiamami Buio il degrado urbano e morale è la regola. La violenza come ragione di vita è la regola. La violenza orrenda è la regola. E deve essere grottesca altrimenti non ha alcun senso. Non deve avere giustificazione alcuna. Non ha e non deve avere alcun un perché. Se poi vogliamo cercarlo per forza diciamo pure che Rainer ha voluto far vedere come le mele marce si trovano anche all’interno delle istituzioni, che spesso sono bacate, strafatte di cocaina, corrotte, avide, depravate e assassine. Lo dice a modo suo con un personaggio che sta sopra le stesse righe, e lo dice stracatafottendosene ampiamente delle impressioni del lettore, perché Rainer (e uso il linguaggio appropriato) è uno che se ne sbatte i coglioni di dover scrivere per piacere. È uno libero. Uno coraggioso, che con la penna fa quello che vuole. Ha voluto creare un poliziotto come Buio e l’ha fatto. Bello nella summa di tutte le sue schifezze. Buio, infatti non conosce il limite. Applica la sua legge del male senza giustificazioni perché è semplicemente così. Marcio dentro. Buio è un protagonista assoluto fuori da tutti gli schemi.
All’inizio della lettura ho subito pensato al film di Abel Ferrara “Il cattivo tenente“, ma continuando lo scorrere delle pagine, questo Cattivo Tenente in confronto a Buio, mi è sembrato un’educanda. Nel personaggio di Rainer non c’è neanche l’ombra di un ravvedimento e in più c’è un’ironia lasciva che tiene viva l’attenzione perché non si distacca mai da una realtà guasta e orribile, obbligata ad essere descritta con uno sproloquio immorale e continuo. Esagerato. Sì, vero, ma questo è un risultato unico e credo inimitabile.
Il ritmo serrato della narrazione, la trama inattaccabile e i continui capovolgimenti delle situazioni creano un caos sovrano e generativo che ben si sposano con il progetto di Pulp estremo, che condito da un’ironia più che cinica, t’incolla alle pagine di un libro colorato di sangue e coca. Tradimenti e lussuria. Non si tratta di cattiverie attaccate le une alle altre solo per fare un Pulp, ma un progetto unitario ben sviluppato che non poteva essere scritto altrimenti.
Chiamami Buio è il miglior libro italiano di Pulp estremo e Buio è la peggiore pecora nera che ho incontrato, ed è vicina a tutti noi, più di quanto possiamo immaginare.
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