Cari avventori del Thriller Café, è insieme un onore e un dolore scrivere la recensione di “Città in Rovine” di Don Winslow, pubblicato da HarperCollins. Un onore perché tutto il mondo letterario attendeva il terzo e ultimo capitolo della sua ormai famosissima trilogia sulla mafia del New England. Un dolore perché “Città in rovine” è anche il suo commiato dalla scrittura. Un commiato straordinario, commovente, anzi straziante potrei dire, una specie di testamento letterario che celebra l’epica noir come degna erede dei poemi tragici greci e latini e del romanzo picaresco.
Per Winslow, Enea si chiama Danny Ryan. Lo abbiamo visto, in “Città in fiamme”, primo atto della trilogia, crescere in Rhode Island, dove lo stesso autore è cresciuto, dove la mafia era quella del Padrino, dei Goodfellas, di Brando e Scorsese. Poi, in “Città di sogni”, lo abbiamo visto in California, inseguire il sogno americano, rifarsi una vita, frequentare Hollywood fino a rimanerne scottato. Ora, in “Città in rovine”, lo vediamo nella fase matura, a Las Vegas, costruire un impero, cercando di pensare solo agli affari, alla famiglia (nel senso buono e positivo del termine), sforzandosi di essere un cittadino americano modello. Ma come rivela il titolo, per Danny è difficile sottrarsi al proprio destino e dopo la costruzione dell’impero, dovrà rassegnarsi a un epilogo differente, ma in un certo senso allo stesso modo epico.
“Città in rovine” è un romanzo straordinario, dove Winslow, con una grazia, un’ironia e un’enorme capacità narrativa, porta alla conclusione tutte le mille storie che con la saga della mafia italo-irlandese del New England aveva aperto nei due capitoli precedenti. Lo fa con il suo stile bruciante, secco, tagliente, senza pause, con un ritmo straordinariamente coinvolgente, con dialoghi magistrali e un uso del linguaggio degno di un grande scrittore. La fine è paragonabile alla conclusione di un poema epico, straordinariamente incalzante senza essere frammentata, molto coinvolgente.
Ci sono due vocaboli paradigmatici che troverete in questo romanzo e che vorrei sottolineare. Con una premessa, peraltro più volte svelata dall’autore nelle sue interviste che in questi anni hanno accompagnato la stesura e la pubblicazione della trilogia. Siamo alle prese con un lavoro che vuole dimostrare che il noir è in un certo senso la continuazione sotto altra forma dei generi classici, dei capisaldi letterari ante litteram, delle figure retoriche della tragedia greca e, financo, dei testi sacri. Le due parole sono “misericordia” e “redenzione”. Non è il caso qui di tracciarne un profilo etimologico, ma entrambe fanno riferimento a una riconciliazione, a un recupero di pace dal conflitto, di equilibrio dal disordine. Di guerre (di bande, di famiglie) che diventano armistizi, di eroi dannati che cercano la salvezza, di umanità dolente che trova requie.
Perché “Città in rovine” trasuda sacralità (talvolta religiosità) in ogni pagina e sembra dirci che gli esseri umani, tutti, killer mafiosi compresi, anzi, questi ultimi quasi di più se possibile che non i difensori della legge e della giustizia (di cui Winslow traccia un ritratto senza alcuna pietà), contengono l’aspirazione al sublime. Danny Ryan è esso stesso pastore di anime in fondo, in un continuo tentativo di elevarsi, di lasciarsi alle spalle il brutto che riempiva la sua vita, di credere che i propri figli debbano vivere meglio di come non abbiano vissuto i loro padri.
Ho visto in questo commiato che ci lascia Don Winslow molta tristezza, ma anche molta speranza. Nessuna rassegnazione, nessuna resa, come potrete leggere nelle sue pagine finali di ringraziamento che chiudono l’opera, ringraziamento non per un singolo romanzo, ma per tutta la carriera (tenete i fazzoletti a portata di mano). E se comunque l’idea che un grandissimo scrittore ci lasci è difficile da digerire, rimane la convinzione che i suoi valori saranno portati avanti nelle battaglie civili che lui stesso ci ha promesso di combattere. E che magari, chissà, un giorno, avrà voglia di raccontarci.
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