“Un reato d’onore, un barbaro omicidio e un collega di merda”: è questa la sintesi del primo giorno di lavoro per Anna Fekete, agente scelto di origini ungaro-serbe da poco ritornata nel paese sulle coste finlandesi dove a lungo ha abitato e che ora la accoglie come parte della sezione crimini violenti della città. Ed in effetti non fa in tempo ad ambientarsi che la sua squadra si trova coinvolta in ben due casi: Dijar, una ragazza immigrata dal Kurdistan, denuncia minacce da parte della sua famiglia, ma in commissariato è lei stessa a ritrattare le accuse. Contemporaneamente viene ritrovato in un bosco il cadavere di una donna barbaramente uccisa. Non bastasse tutto questo, Anna dovrà far coppia con Esko, poliziotto rozzo che non fa nulla per metterla a suo agio trattandola con irritante sufficienza e non nascondendo la sua avversione per le donne e per gli stranieri.
Il tema del ritorno è da sempre un mito potente nella letteratura e non serve scomodare Odisseo per averne conferma; ciò si spiega probabilmente col fatto che nell’immaginario collettivo tornare nei luoghi del proprio passato coincide col fare un bilancio della propria vita e, soprattutto, con l’affrontare i nodi irrisolti e le paure che albergano in noi. Anche per la protagonista di questo thriller il presente diventa un modo per rinegoziare il proprio vissuto; i casi su cui indaga, in qualche modo, la riguardano personalmente: la donna uccisa condivideva con Anna la passione per la corsa, che l’agente scelto usa per liberare la testa e scaricare la tensione; ora questo piccolo piacere le è precluso, visto che il killer sembra scegliere le sue vittime proprio sui percorsi di trekking nei boschi frequentati dalla protagonista. Dijar, la ragazza curda, non può non ricordare ad Anna la sua condizione di immigrata; certo, quello della poliziotta è un caso di successo, essendo lei perfettamente integrata, ma la nostalgia per la terra natia e tutti quei sentimenti contraddittori tipici delle persone che vivono lontane dal paese d’origine appartengono anche a lei. Nei pensieri della protagonista, dunque, i ricordi personali si sovrappongono alle storie delle vittime: i fatti violenti su cui indaga rischiano così di far riaffiorare cattivi pensieri, che sfociano in quegli attacchi di panico di cui soffriva in passato (ancora una volta, terra da cui riemergono vecchie ferite) e che credeva di aver scongiurato per sempre. A complicare ulteriormente le cose, dai tempi andati fa capolino anche Ákos, fratello di Anna, che a differenza della poliziotta non ha ancora trovato il suo posto nel mondo e una propria strada che non sia quella che conduce al bar. Riallacciare i rapporti col problematico fratello potrebbe riportare alla mente un passato che Anna vuole tenere sepolto.
Presto viene ritrovato un secondo corpo; nonostante questa volta la vittima sia un uomo, il nuovo luogo del delitto riecheggia in modo inequivocabile il primo, l’arma delitto è ancora una volta un fucile e, soprattutto, in tasca al cadavere è stato trovato un ciondolo simile a quello rivenuto sulla prima vittima, un amuleto raffigurante Huitzilopochtli, sanguinario dio azteco della guerra e del sole, cui venivano sacrificate numerose vite umane. Non ci sono più dubbi: hanno a che fare con un serial killer. Ma cosa diavolo c’entra un’impronunciabile divinità precolombiana con una catena d’omicidi in Finlandia? Nonostante l’attrito con Esko non accenni a diminuire, le indagini di Anna e della sua squadra proseguono, tra mille difficoltà: le vittime sono collegate tra loro o sono scelte casualmente? I poliziotti non sono preparati ad un assassino seriale, finora ne hanno trovati solo nei libri. Volente o nolente, Anna si fa coinvolgere anche troppo, finendo per sorvegliare Dijar nel tempo libero, non potendo appoggiarsi a indagini ufficiali. I due casi le fanno perdere il sonno e, con esso, la lucidità. L’insonnia diventerà un vero pericolo per la protagonista, costretta ad un tour de force emotivo e psichico che la lascerà quasi senza vita.
Come Il signore del fuoco anche questo libro nordico offre spunti interessanti sull’immigrazione, che si conferma tema centrale non solo nell’Europa meridionale: è la viva voce di Dijar a guidarci nel travagliato percorso di integrazione filtrato dal sistema d’accoglienza finlandese e a descrivere le difficoltà e lo spaesamento di fronte ad una nazione sconosciuta di cui non si conosce la lingua; anche per una ragazza sveglia come lei le cose non sono facili e i momenti critici abbondano persino nel tollerante Nord Europa. Dijar è costretta ad una doppia vita: a casa è la brava figlia legata alle tradizioni che sogna il Kurdistan libero, fuori invece cerca la sua d’indipendenza. Attraverso le parole di questa ragazza dallo spirito indomito, e anche grazie alla stessa protagonista, troviamo quello che ne Il signore del fuoco mancava: questo romanzo mostra infatti diversi casi di integrazione più o meno riusciti, dalla famiglia problematica di Dijar fino ad Anna, praticamente finlandese al 100%. La questione dell’integralismo di alcuni nuclei di immigrati (che esiste, ed è giusto denunciare senza timori) è inserita in una prospettiva più ampia che rende giustizia ai tanti musulmani alieni al fanatismo. Come al solito sono le persone, e non le etnie o le religioni, a fare la differenza.
Tutto sommato, è un thriller scorrevole, che però non lascia molto al lettore una volta girata l’ultima pagina. Sconta soprattutto la poca personalità autoriale, con una prosa piuttosto piatta, e protagonisti che non riescono a creare un legame forte col lettore. L’indagine subisce una svolta improvvisa nel finale, ed il mistero si risolve: nonostante il buio opprimente portato dall’inverno in quei territori prossimi al circolo polare, la luce rischiara ogni anfratto di questa storia portando un lieto fine per Anna sotto ogni punto di vista. Il passato può riconciliarsi col presente.
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- Hiekkapelto, Kati (Autore)