François Morlupi, italo-francese (di madre parigina), nasce a Roma nel 1983. Lavora in ambito informatico in una scuola francese di Roma ma la sua passione per la letteratura, i gialli, i noir ma soprattutto per la scrittura lo porterà a pubblicare nel 2018 il suo primo libro. Si tratta di Formule mortali. La prima indagine del commissario Ansaldi (Croce Libreria) che ebbe fin da subito un grande successo di critica e di pubblico e che arriverà a vincere sei premi letterari nazionali tra cui il Giorgione Prunola e il Grottammare nella categoria noir-giallo. Nel 2020, sempre per Croce Libreria, pubblicherà Il Colbacco di Sofia. Una nuova indagine per il commissario Ansaldi continuando nella serialità che ha come protagonista il commissario Ansaldi e tutto il commissariato di Monteverde. Fu anche in questo caso un successo infatti il libro si è subito posizionato per mesi nella top 10 dei noir più venduti su Amazon ed è entrato in finale a Garfagnana in Giallo. Nel 2021, grazie al sodalizio con Salani Editore, prosegue la fortunata e tanto apprezzata serie pubblicando Come delfini tra pescecani. Un’indagine per i Cinque di Monteverde (aprile, 2021). Ed è proprio questa sua ultima fatica letteraria che mi accingo ora a recensire per voi convinta che il bancone letterario di Thriller Café saprà apprezzarlo come ho fatto io.
Roma. Il commissariato di Monteverde, quasi nel centro storico a due passi da Trastevere e dal Gianicolo, è situato in una zona molto tranquilla della capitale, ricca di verde e silenziosa dove raramente avvengono eventi delittuosi. Ritroviamo in Come delfini tra pescecani la squadra più stramba e bizzarra della polizia alle prese con la morte di Giancarlo Gordi, uno scorbutico ultraottantenne, che viene ritrovato, apparentemente suicida, nel suo appartamento con un cappio al collo. Vicini e conoscenti lo descrivono come una persona scontrosa, dal carattere difficile e particolarmente iroso ma anche se il caso sembra archiviabile in poche ore come il suicidio di un uomo stanco di vivere una geniale intuizione del vice ispettore Eugénie Loy scoperchierà un vaso di Pandora che ha radici nei lontani anni ‘90 quando, cioè, il nostro uomo era presidente della società calcistica dilettantistica Tor di Quinto. Come può un passato così lontano e ormai forse dimenticato da tutti avere ripercussioni multiple nella Roma di oggi? E inoltre che significato potrà mai avere la frase che tanto ha sconvolto il Gordi a tal punto da ripeterla più volte negli ultimi suoi giorni di vita e cioè: “I peccati del passato indossano lunghi abiti”? Toccherà appunto ai cinque di Monteverde risolvere questo caso e lo faranno, come sempre, grazie a grandi intuizioni ma soprattutto grazie ad un magistrale gioco di squadra. Ma chi sono i cinque di Monteverde? Deus ex machina è il commissario Biagio Maria Ansaldi, un uomo “tutto d’un pezzo”, carismatico e intuitivo ma anche goffo e ansioso all’inverosimile, ipocondriaco con manie ossessivo-compulsive, la cui passione/salvezza è l’amore per l’arte; il suo braccio destro è il vice ispettore Eugénie Loy, italo-francese, integerrima e intransigente che sembra essere insensibile e non in grado di manifestare emozioni ma che, forse, usa questa strategia difensiva per rendersi impermeabile al dolore che tanto l’ha già colpita nella sua vita; seguono a ruota i due agenti speciali soprannominati i “Ringo Boys” e cioè Roberto Di Chiara (romanista fino al midollo, amante del calcetto, dei film coreani sottotitolati ma anche della pizza cicoria e salsiccia) e William Leoncini, un ragazzo di colore adottato da una famiglia italiana un po’ latin lover e un po’ appassionato di storia del periodo della seconda guerra mondiale e del nazismo che ha una sua filosofia di vita ben precisa e cioè è convinto che le indagini non debbano in alcun modo interferire con le loro vite personali e una volta a casa, ognuno di loro, ha il dovere di vivere una vita serena evitando così di farsi trascinare nel buco nero delle indagini; e poi abbiamo l’ultimo acquisto Eliana Alerami, una bella ragazza ancora inesperta ma con tanta voglia di imparare da chi ha più esperienza di lei che in pratica ha “sostituito” l’agente scelto Caldara morto, in servizio, durante un conflitto a fuoco con un gruppo di feroci malviventi (vedi Formule mortali).
In questa terza indagine del commissariato di Monteverde ho ravveduto un’evoluzione, decisamente positiva, di tutti i personaggi. A cominciare dal commissario Ansaldi che riesce a ridurre la sua dose giornaliera di ansiolitici, a intraprendere una dieta volta a diminuire il suo giro vita, a dare un po’ meno retta alle sue manie che tanto gli condizionano l’esistenza ma soprattutto a mettere un po’ “il naso fuori casa” grazie ad un simpatico e pelosetto quadrupede (che per la sua passione per l’arte non poteva che chiamarsi Chagall) che lo costringe così dovendo occuparsi di lui quotidianamente a essere un po’ meno concentrato su se stesso e sulle sue ipocondrie per proseguire con Eugénie che in Come delfini tra pescecani riesce addirittura non dico a ridere ma almeno a sorridere ed infine i contrasti e le differenze così marcate tra i due Ringo Boys ora diventano poco più che baruffe e sfottò divertenti e tutto questo perché i cinque mitici sono ora finalmente convinti che per navigare nel mare insidioso dei pescecani può avere la meglio solo una squadra di “delfini” intelligenti, estrosi, acrobati all’inverosimile ma soprattutto coesi che più che squadra diventano quasi “famiglia”. E poi c’è Roma, il sesto protagonista della squadra, che agisce, reagisce e interagisce a tutto tondo con le indagini. C’è tanto di Morlupi in tutti i personaggi: il suo amore per l’arte e la letteratura, il suo essere italo-francese di madre parigina come Eugénie, la passione per la “magica” e per il suo mitico capitano, l’amore smodato per i film coreani, il rituale per la pizza cicoria e salsiccia e l’amore indiscusso per Roma che da una parte ne elogia le bellezze imprescindibili ed eterne e dall’altro ne critica la trascuratezza e l’inciviltà dilagante (buche, traffico esasperato, parcheggi selvaggi, differenziata che lascia a desiderare…). Molti sono i romanzi gialli che vedono protagonisti una serie di poliziotti e/o investigatori ma a mio avviso la serie di François Morlupi si distingue tra tutti. Infatti non appartiene né a quelli il cui punto di forza è esclusivamente l’indagine giallo/poliziesca e di coloro che conducono l’indagine si sa poco o nulla e nemmeno a quel genere in cui la trama gialla, spesso debole e di facile soluzione, è un mero pretesto per analizzare a fondo la psicologia dei personaggi ma in maniera brillante e decisamente accattivante il nostro scrittore riesce a consegnarci un mix perfetto dove i nostri antieroi, umani, perfetti nelle loro imperfezioni, diversi tra loro ma per questo complementari sono alle prese con un’indagine decisamente ben congegnata e strutturata nei minimi particolari dove nulla è lasciato al caso.
Con una scrittura vivace, brillante, ironica, impreziosita da raffinate metafore, inconsuete ma soprattutto efficacissime, François Morlupi realizza con questa sua ultima fatica, a mio avviso, la sua opera migliore che diverte (perché lo stesso Morlupi si è divertito), intriga, appassiona, fa riflettere ed emoziona. In conclusione mi sento di dire che di questo straordinario giallo e del suo brillante scrittore sentiremo parlare ancora, e ancora, e ancora…
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- Morlupi, François (Autore)
Articolo protocollato da Luisa Ferrero
Libri della serie "I Cinque di Monteverde"
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