Quattro amici, nel Messico degli anni ’80, condividono le gioie e le scoperte che l’adolescenza offre loro, creando un legame indissolubile, prepotente e assoluto come solo le amicizie nate in quell’età possono essere. Vent’anni dopo la vita li fa rincontrare coinvolgendoli tutti in un caso di cronaca nera che nasconde torbidi affari: l’attrice Pamela Dosantos è stata uccisa, forse a causa delle sue frequentazioni nell’alta società e delle sue entrature politiche.
Tomás, che è diventato giornalista e che gli anni e l’ininfluenza del suo mestiere sulle sorti del paese hanno reso cinico e disinteressato, scrive un articolo sulla diva morta buttando lì, distrattamente, l’indirizzo del presunto colpevole; peccato che corrisponda all’ufficio di Salazar, potente ministro dell’Interno del nuovo governo targato PRI, il partito che ha vinto le elezioni. Mario, ora professore universitario, lo mette in guardia: con quell’allusione Tomás si è cacciato in un ginepraio di guai. E se avessero voluto incastrarlo dandogli quella soffiata?
A completare il quartetto d’amici ritrovati, Amelia, leader del principale partito d’opposizione, e Jaime, un agente dei servizi segreti messicani con contatti coi colleghi yankee.
Quello che per Tomás era nato come uno scoop casuale si trasforma presto in una convinta battaglia, un’occasione per riprendere in mano la propria vita e lasciare un segno. La strategia pensata con gli amici è azzardata, ma sembra l’unica possibile: finché il giornalista rimarrà sotto i riflettori correrà meno rischi di rappresaglie per le sue rivelazioni scottanti; per restare al centro della scena mediatica, però, è necessario che continui a sfornare articoli esplosivi e per farlo deve affidarsi alle sue fonti, Amelia e Jaime, aggiungendo così alla minaccia di Salazar il rischio di esser usato dai suoi vecchi amici per scopi non limpidi. Entrambi infatti hanno altri motivi, oltre al desiderio di proteggere Tomás, per voler prendere in mano la vicenda: Jaime può sfruttare la situazione per i suoi intrallazzi segreti mentre Amelia, politica dai forti ideali ma che sa accettare il gioco sporco del potere, non può non vedere l’occasione di assestare un duro colpo al governo.
Il ministro, in effetti, potrebbe non c’entrare nulla con quell’omicidio che assomiglia più a un’esecuzione che a un delitto passionale: e se volessero incastrarlo? Ma chi? Chi ce l’ha col presidente? Sarebbe più facile dire chi non gli è nemico, nella guerra tutti contro tutti che è la politica messicana contemporanea, tra partiti lacerati da lotte intestine e connivenze più o meno esplicite con una criminalità organizzata diventata la vera padrona di buona parte del territorio nazionale.
Perché è di questo che parla I corruttori: di quel coacervo di tensioni, conflitti e violenza che è il Messico oggi. Una scrittura esplicita, quella di Jorge Zepeda Patterson, che non ha paura di affrontare temi scottanti, non solo per quanto riguarda la questione corruzione; tra le pagine di questo thriller si respira una libertà descrittiva che mostra la vita per quello che è, nel bene e nel male, fornendo alla prosa un’estrema chiarezza e precisione nel delineare le psicologie dei personaggi, tra loro ben distinti, e nel racconto degli intrighi della politica messicana: il nuovo partito di governo, il PRI, vuol far leva sulle paure della gente per attuare una svolta autoritaria coincididente con la restrizione delle libertà civili in nome della sicurezza. La storia del caudillismo latinoamericano rischia così di ripetersi.
E’ un romanzo, certo, ma gronda realtà da ogni pagina: nelle note finali l’autore, uno dei più famosi giornalisti messicani, rivendica l’ispirazione diretta dai fatti di cronaca, sostenendo addirittura che il suo libro non riesce a tenere il passo con quello che succede realmente nel paese (e forse, aggiunge, in qualsiasi altra nazione). Si allude ad esempio a “el Chapo” Guzmán, il vero capo del cartello di Sinaloa (recentemente arrestato) e agli Zetas, suoi rivali feroci e brutali al punto da indurre il governo a negoziare con Guzmán per impedire l’ascesa dei suoi avversari: un narcotrafficante ragionevole è comunque meglio di uno incontrollabile, con buona pace della lotta ai cartelli.
L’indagine di Tomás e dei suoi tre amici scoperchierà un mondo marcio fino al midollo in cui nessuno dei partecipanti (politici, poliziotti, sindacalisti, narcotrafficanti, giornalisti, spie, hacker…) può pensare di rimanere pulito a lungo. Un contesto dove l’alleanza sbagliata può costarti caro e tutti praticano il doppio e il triplo gioco.
Le forze che agitano il Messico sono invisibili: possiamo solo intuire i loro metodi brutali, che non vengono quasi mai esposti da Zepeda Patterson, il quale preferisce alludervi; ciò contribuisce alla sensazione di onnipotenza dei cartelli criminali, il cui potere non necessariamente deve esprimersi con efferatezza per essere efficace, bastando la minaccia costante. La violenza, qui, a differenza de Le belve (il film di Oliver Stone basato sull’omonimo romanzo di Don Winslow che parla proprio di un cartello della droga messicano), è oscena, nel senso etimologico di “fuori dalla scena”: non mostrata ma costantemente aleggiante sui destini dei personaggi. Quando però l’autore decide di condividerla coi lettori, quello che mostra è la spietatezza di sicari che non si fermano davanti a nulla e non c’è bisogno di calcare la mano con descrizioni pulp per percepire la ferocia degli attori coinvolti.
Zepeda Patterson non è un giornalista prestato al romanzo, ma un vero e proprio scrittore di calibro, capace di imbastire una storia coinvolgente con personaggi non scontati e riflessioni originali sulla politica, sui partiti, sul loro rapporto con la società civile e coi mezzi di comunicazione (internet incluso). Anche quelli che sono i cattivi della storia non sono ridotti a macchiette: sono uomini a tutto tondo, credibili nelle loro intenzioni e capaci di dar conto delle ragioni che li muovono. Un merito di questo thriller è la chiarezza con cui arriva al nocciolo del problema politico riuscendo in maniera penetrante ad esporre senza banalizzarla la problematicità del conflitto in corso a livello globale tra capitalismo e democrazia: se le regole democratiche sono un freno alle mire espansionistiche congenite al libero mercato, la pulsione verso l’uomo forte che nel mezzo del caos del mondo forza i limiti (i lacci e laccioli) per imporre decisioni rapide e soluzioni semplici si fa sempre più presente nelle masse. Zepeda Patterson descrive in modo convincente la tensione tra questi due poli, evidenziando come essa sia la questione centrale del nostro tempo e lasciando aperti due interrogativi: il primo è fino a che punto possa spingersi la difesa della propria patria. Il secondo, pur essendo attualissimo, è molto vecchio, ed infatti è in latino: Quis custodiet ipsos custodes?
Tutti i personaggi, anche quelli ambigui (come Pamela, l’attrice morta), hanno una storia, un passato che ne fa delle vere persone e non caratteri stereotipati. Oltretutto, non si ha mai l’impressione che la vicenda di cui parla il libro sia un pretesto usato dal giornalista Zepeda Patterson per trattare una tematica sociale a lui cara; quest’ultima, al contrario, emerge in maniera naturale dalla rappresentazione del Messico contemporaneo e delle esistenze di personaggi che vanno oltre il loro ruolo di meccanismi narrativi. Ne viene fuori così un affresco ricco e vitale del mondo, capace di colpire sia per l’accurata descrizione del contesto problematico messicano che per le vite dei protagonisti. Una storia in cui i tornaconti personali si mischiano coi sentimenti privati, gli ideali fronteggiano la realpolitik, gli interessi e le convinzioni di tutti si incontrano e si scontrano confondendo le carte di un gioco a più livelli e con infinite parti in causa. Una storia né di santi né di eroi, ma di uomini: uomini che amano, soffrono, sbagliano, tradiscono e lottano, in un mondo che li pone costantemente davanti a scelte difficili.
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