Dopo aver analizzato il tema della giustizia nei luoghi della Roma post-industriale in “È così che si uccide”, e il rapporto tra realtà e illusione muovendosi tra la mitologia greca e l’arte classica in “La forma del buio”, Mirko Zilahy arriva all’epilogo della sua trilogia ambientata a Roma edita da Longanesi. Con “Così crudele è la fine” esplora la multiforme idea dell’identità attraverso l’ultima battaglia con il male del suo commissario Enrico Mancini. Lo recensiamo per voi al Thriller Café.
Nella capitale attraversata da uccisioni silenziose ed enigmatiche, che gettano una luce nera sulla città, il commissario Mancini per la prima volta dopo molto tempo accoglie la sfida con nuova determinazione. Costretto a rincorrere l’assassino passo dopo passo, vittima dopo vittima, tra i vicoli e le rovine della Roma più antica e segreta, capisce ben presto che il killer è anomalo, sfuggente come un riflesso. E in un gioco di specchi tra realtà e illusione, la posta finale non è solo l’identità del serial killer, ma quella dello stesso protagonista.
L’autore ci regala un thriller di straordinaria potenza, carico di tensione e suspense rese vive grazie alla trama appassionante e allo stile narrativo asciutto e diretto, che scandisce il ritmo rapido e incisivo. Le frasi minime, dalla punteggiatura secca, che accompagnano i momenti di azione, si alternano a passaggi più morbidi e introspettivi, dipinti nei capitoli in corsivo. In questi, seguiremo sia una sottotrama arguta e feroce, collegata agli omicidi, che gli ultimi istanti di vita delle vittime: Zilahy infatti, con infinita abilità e senza svelare troppo, ci accompagna sulle scene del crimine che si sta ancora consumando, creando un impatto emotivo unico, originale e geniale e ci mostra le sfumature del tema portante della storia, l’identità.
Ritroviamo il commissario Mancini energico, rinvigorito e con la voglia di “vincere” che aveva in passato – supportato dalla psichiatra della polizia che lo ha in cura, e affiancato dalla fedele squadra di sempre – ma con un ultimo passo ancora da compiere: riuscire a guardare finalmente dentro se stesso, immergersi nel proprio io e scendere nella propria “palude mentale” così come fa, da eccellente profiler qual è, con il serial killer.
Roma e la bellezza dei suoi abissi archeologici inesplorati, antichi e misteriosi, descritti con sottile minuzia e musicalità, sono molto più che uno sfondo: sono parte integrante dei delitti e palcoscenico suggestivo e intriso di simbolismo, dell’assassino. Buio e luce, specchio come icona e metafora, casa, profondità contrapposta a superficie, paura, sono alcune delle parole chiave attraverso le quali l’autore sfida i lettori a seguire il commissario e la sua squadra, fino all’epilogo inatteso e toccante.
I thriller di Zilahy non sono mai una pura sequela di delitti e indagini serrate: sono storie, personaggi, luoghi e intrecci che seducono, catturano e tengono il lettore in costante bilico tra la voglia di divorare le pagine e il terrore che il libro finisca troppo presto!
Donato Carrisi, di “Così crudele è la fine” afferma: «Zilahy fa brillare Roma di una luce nera, bellissima» e credo non ci sia null’altro da aggiungere alle parole illuminanti del Maestro.
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