Dopo sei anni di assenza dalle librerie italiane, grazie all’editore 1rosso, torna la coppia di investigatori Dave Robicheaux e il suo obeso compagno Cletus (Clete) Purcell, creata dal pluripremiato autore texano James Lee Burke. La 1rosso è un marchio editoriale di Parallelo45 Edizioni, nato da poco meno di un anno, dedicato esclusivamente alla letteratura straniera.
Trama di Creole Belle
L’inizio del romanzo vede Dave Robicheaux ricoverato presso una struttura di riabilitazione, in St. Charles Avenue nei quartieri alti di New Orleans. Il precedente romanzo The GlassRainbow si era appunto chiuso con il ferimento grave di Robicheaux, dopo la lunga e impari lotta che aveva dovuto affrontare contro la mafia locale (purtroppo, The GlassRainbow, il romanzo che precede Creole Belle,è ancora inedito in Italia).
A causa del dolore, a Robicheaux vengono somministrate forti dosi di morfina, che lo rendono incapace di distinguere tra sogno e realtà. Una notte, mentre è in preda a questa specie di delirio, in cui i ricordi si mescolano ad immagini reali, una donna che si chiama Tee Jolie Melton compare all’improvviso nella sua stanza. Si tratta di una ragazza che canta in un night club, non lontano dalla casa di Dave. Gli ha portato una lattina di Dr. Pepper e delle fette di lime. Dopo aver parlato del periodo in cui si sono conosciuti, la ragazza gli confessa di trovarsi nei guai e di avere bisogno del suo aiuto.
Il mattino dopo, il suo amico e collega, Clete Purcel, ascoltata la storia, gli dice che non è possibile che Jolie Melton sia stata lì. La ragazza, infatti, risulta scomparsa da alcune settimane e, inoltre, Dave dice di averla vista alle due di notte, quando l’ospedale è chiuso.
Nel frattempo, la sorella di Jolie Melton viene trovata morta nelle acque del Golfo, all’interno di un blocco di ghiaccio galleggiante. Quando Robicheaux viene dimesso dall’ospedale, inizia ad indagare sulla scomparsa di Tee Jolie Melone e sull’omicidio di sua sorella.
Tra ricordi risalenti all’epoca della Germania nazista e episodi collegati all’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, la trama del romanzo si sviluppa su più tracce, che alla fine convergeranno tutte……
Dave Robicheaux, una saga di denuncia sociale
Le indagini di Dave Robicheaux sfociano spesso nella denuncia sociale e politica, e nella rappresentazione dell’America amorale, nascosta dietro la vernice del perbenismo.La corruzione dei politicanti e degli aristocratici del sud, un’economia in rovina in cui prosperano le attività illecite, i conflitti razziali e di classe, le condizioni miserevoli in cui versano le popolazioni della Louisiana, lo sfruttamento economico delle risorse naturalisono solo alcuni dei grandi temi affrontati da Burke.
Il primo romanzo con protagonista Robicheaux (“Pioggia al neon” – The Neon Rain, 1987), ad esempio, è “una storia che mescola i temi del traffico d’armi in America Centrale con le politiche sottobanco dell’amministrazione Reagan impegnata a intessere relazioni d’affari con i cartelli della droga e delle armi e a garantirsi l’appoggio da parte di frange della destra estrema fra gli squadroni della morte” (Cfr. Intervista a James Lee Burke a cura di Matteo Strukul per Sugarpulp).
Non dobbiamo dimenticare che Burke lavorò diversi anni come assistente sociale, incontrando detenuti e criminali, e poi come giornalista. Burke sostiene che è un dovere dell’artista “tell the truth about the period he lives in and to expose those who exploit their fellow men… His belief that literature can change the world came from an admiration for Orwell… (dire la verità sul periodo in cui vive e denunciare coloro che sfruttano i propri simili… La sua convinzione che la letteratura possa cambiare il mondo deriva dalla sua ammirazione per Orwell… – cfr. A life in writing: James Lee Burke, by Nicholas Wroe).
Ecco, ad eempio, come Burke descrive il distretto di St. Mary:
Il viaggio fino al confine sud con il mare del distretto di St. Mary non fu lungo. Ma la distanza geografica tra il distretto di St. Mary e gli altri distretti aveva poco a che fare con la distanza storica tra il distretto di St. Mary e il ventunesimo secolo. Era noto come un territorio feudale, di proprietà e gestito da una famiglia con enormi ricchezze e potere politico. I suoi campi di canna da zucchero e gli impianti di lavorazione erano i più produttivi dello stato. La sua forza lavoro di neri e di bianchi poveri era di quelle che si associava con l’economia e la mentalità ante-guerra. I pozzi di petrolio e di gas naturale perforati nelle sue paludi e acquitrini, rendevano ricavi inattesi che sembravano un regalo da una mano divina, sebbene chi li riceveva non sentiva una grande urgenza cristiana di condividere la fortuna.
I non abbienti vivevano nelle case dell’azienda e facevano e pensavano ciò che gli veniva detto. Nessun giudice, prete, poliziotto, giornalista o politico aveva mai provato ad affrontare la famiglia che gestiva il distretto di St. Mary. Qualunque storico studioso della struttura della società medievale avrebbe considerato il distretto di St. Mary come un modello teletrasportato dal tredicesimo secolo.
(James Lee Burke, Creole Belle, 1rosso, 2015, p. 81)
Uno dei temi prediletti da Burke è, in ogni modo, lo sfruttamento e l’inquinamento della natura. Robicheaux, infatti, è in continua lotta contro il crimine organizzato che sfrutta le risorse naturali, soprattutto in Creole Belle e The Glass Rainbow. Burke non è il primo scrittore noir a raccontare lo sfruttamento industriale della natura. Anticipatore di questa lotta impari è il dimenticato (in Italia soprattutto) Lew Archer, eroe creato dalla penna di Kenneth Millar, in arte John Ross MacDonald. Lew Archer è, infatti, il primo detective a “vedere con sguardo lucido l’approssimarsi del disastro ecologico” (Laura Grimaldi, L’urlo e il furore. I contemporanei, in I colori del nero: cinema, letteratura noir, Mystfest, X Festival internazionale del giallo e del mistero, a cura di Marina Fabbri, Elisa Resegotti, Ubulibri, 1989, p. 68).
Per informazioni più dettagliate sulla “crime novel” americana di denuncia sociale e sui romanzi di Burke, consiglio Andrew Pepper, The Contemporary American Crime Novel: Race, Ethnicity, Gender, Class. Edinburgh University Press, 2000. Una parte del saggio (pp. 63-69) è appunto dedicata all’opera dello scrittore texano.
La Louisiana, un personaggio del libro
“Burke has a knack for giving the reader atmosphere through descriptions of architecture, the sights and sounds of overheated New Orleans and southern Louisiana’s quirky folks.” (Burke ha un talento incredibile nel rendere al lettore l’atmosfera, attraverso descrizioni architettoniche, immagini e suoni di una afosa New Orleans, e la gente stravagante del sud della Louisiana.)
(Cfr. Albuquerque Journal: Killer Tales)
Lo sfondo suggestivo e affascinante di Creole Belle è ancora una volta la Louisiana, da New Orleans a New Iberia. Burke ha dichiarato più volte che la Louisiana non è solo un fondale per le sue storie e i suoi personaggi:
Penso che il motivo di una simile scelta sia legata agli scrittori che hanno certamente influenzato il mio stile, autori naturalisti come John Steinbeck, James T. Farrell e John Dos Passos. Secondo me luoghi e ambientazione sono personaggi chiave di un romanzo. Aggiungi che fra coloro che ammiro vanno inseriti i nomi di almeno tre grandi cantori del Sud come Erskine Caldwell, William Faulkner e Tennessee Williams e il quadro complessivo è ancora più chiaro.
(Cfr Intervista a James Lee Burke a cura di Matteo Strukul per Sugarpulp)
La Louisiana ha il tasso di analfabetismo più alto della nazione, l’acqua “potabile” più inquinata, e molte zone sono diventate una vera e propria discarica dei rifiuti di tutti gli altri stati. Non esistono controlli e i politici stessi sono consenzienti e corrotti. Statisticamente New Orleans è la capitale più violenta degli Stati Uniti, con un tasso di 95 omicidi ogni 100.000 abitanti, che è altissimo se si pensa che a Bagdad è di 48 ogni 100.000 abitanti. New Orleans è una tipica città di frontiera, con confini ben definiti che separano il vecchio e il nuovo, il ricco e il povero, il francese e l’americano, il creolo e il cajun. E queste divisioni si sono accentuate dopo l’uragano Katrina. Essa è divisa in due grandi zone dal Mississippi, quella della New Orleans moderna e industrialee quella deivecchi quartieri malfamati e poveri di Algiers e Gretna. Non è quindi un caso che molti scrittori ambientino le loro storie in questo luogo (Cfr. Richard Schwartz, Nice and Noir: Contemporary American Crime Fiction, University of Missouri Press, 2002, pp. 86-87).
La scelta della Lousiana è stata fondamentale per Burke e non solo per la sua bellezza. Nei suoi romanzi, Burke, associa sempre la descrizione dei luoghi al passato, perché la storia li ha attraversati ed essi conservano le tracce di ciò che è accaduto. Si tratta di un concetto derivato dai romanzi di William Faulkner. E Burke non perde occasione per raccontarci suggestivi pezzi di storia della vecchia America.
“This exotic landscape, rich in mystery and romance, yet also haunted by ghosts of the past, gives Burke’s novels both atmosphere and rich historical context…”(Questo paesaggio esotico, ricco di mistero e romanticismo, ma anche ossessionato dai fantasmi del passato, dona ai romanzi di Burke sia l’atmosfera che un ricco contesto storico… (Cfr. (David Geherin, Scene of the Crime: The Importance of Place in Crime and Mystery Fiction, Mcfarland & Co Inc Pub, 2008, p. 93).
Le parti più riuscite dei romanzi sono proprio quelle dedicate alla bellezza primitiva delle paludi, al caldo afoso, alla nebbia. E larga parte delle avventure di Dave Robicheaux si svolgono nei bayou.
La parola (bayou)… significa «rivolo», «corso d’acqua più o meno stagnante», che esce da un fiume o da un lago. Negli stati del Sud, e in particolare Florida, Alabama, Mississippi, Louisiana, Texas, i bayou sono una componente suggestiva delle geografie rivierasche… Nella Bassa Louisiana, in particolare, i bayou… traversano boscaglie intricate e svirgolano verso coste sempre più tempestate da marosi e uragani, vittime sacrificali del «re petrolio» e dei molti agenti chimici rovesciali nei fiumi e nel Golfo del Messico.
(Mario Maffi, Bayou, in AA.VV, Americana. Storie e culture degli Stati Uniti dalla A alla Z, Il Saggiatore 2012, pp. 72-73)
La complessità della trama e il caos del male
Molti anni prima avevo abbandonato ogni pretesa di una visione razionale del mondo e anche evitato le persone che credevano che le leggi della fisica e della casualità hanno applicazione quando si tratta di capire i misteri della creazione, o il fatto che la luce possa entrare nell’occhio e formare immagini nel cervello e inviare un ricciolo poetico giù lungo il braccio in un artiglio di dita che avrebbe potuto scrivere i sonetti di Shakespeare.
(James Lee Burke, Creole Belle, 1rosso, 2015, p. 123)
Una delle caratteristiche evidenti della scrittura di Burke è la complessità delle trame. Egli riempie le sue storie di una pletora di personaggi, ognuno dei quali sembra vivere la propria solitudine esistenziale e seguire un suo percorso all’interno del romanzo. In realtà ogni personaggio è collegato all’altro da legami all’apparenza invisibili (attrazione, ricatto sfruttamento, odio, rancore, amore, debiti morali o economici) o fa parte di qualche classe o comunità (ricca o povera, bianca o nera), in una miriade di relazioni intricate e spesso indissolubili.
È da notare come le indagini di Robicheaux siano costituite principalmente da confidenze, interrogatori e incontri. Ed è proprio in questo modo che Burke riesce a far emergere un claustrofobico mondo da incubo in cui tutto è interconnesso: “a thriving nightmarish world, claustrophobic, interconnected, rotten to the core” (Samuel Coale, The Mystery of Mysteries: Cultural Differences and Designs, Bowling Green State University Popular Press, 2000, p. 144). Ma è proprio la natura labirintica di questo universo del male a renderlo potente e invincibile, e non importa quanti criminali Robicheaux riuscirà ad uccidere o a far condannare, il potere del male rimarrà intatto.
VORREI DIRE che gli eventi che stavano per accadere sul bayou erano del tipo che ci assicurano che esiste una parvenza di giustizia nel mondo. Mi piacerebbe credere che ci sia una soluzione alla tragedia umana e che l’ordine possa essere ripristinato sulla terra nello stesso modo in cui avviene nel quinto atto del dramma elisabettiano che rispecchia presumibilmente la nostra vita. La mia esperienza fu diversa.
La storia si corregge raramente nella sua sequenza e quando fa giustizia, spesso lo fa in un modo che perpetua il male dei trasgressori e dà nuova vita ai discendenti di Caino.
(James Lee Burke, Creole Belle, 1rosso, 2015, p. 550)
Secondo Samuel Coale, è la complessità del testo a creare la sensazione di un labirinto oscuro, che vanifica la rassicurante formula del giallo classico “cause-and-effect”. E un mondo senza causa-effetto è in preda al caos. E i personaggi, che abitano questo mondo labirintico e privo di certezze, ne riflettono la complessità, nella continua lotta interiore, nell’ossessione della colpa e della ricerca di redenzione. Robicheaux è uno di questi: “James Lee Burke’s mysteries clearly continue and elaborate upon the hard-boiled school of crime and detective fiction, but they do so in his own manner and with a deeper, darker vision… his metaphysically mysterious and labyrinthine plots, the psychological depths of guilt, obsession, and self-loathing that affect many of his characters and certainly his detective hero” (Cfr. Samuel Coale, The Mystery of Mysteriesols: Cultural Differences and Designs, Bowling Green State University Popular Press, 2000, pp. 156-157 – sullo stesso argomento vedi anche pp. 143-144).
Il finale di Creole Belle sembrerebbe staccarsi da questa visione pessimista. Il romanzo termina, almeno apparentemente, con un happy end tipicamente hollywoodiano (che non posso naturalmente anticiparvi). In realtà il lieto fine non è per niente ottimista. Il male non è stato sconfitto e la vittoria di Robicheaux è solo una goccia d’acqua pura nel mare nero della corruzione e criminalità che infestano la Louisiana. La visione che Burke offre dei Southern States è tragica e inquietante allo stesso tempo. Ma è proprio questa lotta impari tra due uomini, soli e pieni di problemi esistenziali, e gli imperi oscuri del male, che sembra voler ricordare gli antichi scontri tra l’uomo e gli Dei dell’antica tragedia greca, tanto amata da Burke.
Dave Robicheaux e l’anti-detective…
Sono stato sia poliziotto a New Orleans che investigatore nel distretto di Iberia sin da quando tornai dal Vietnam. La mia storia è fatta di alcolismo, depressione, violenza, e spargimento di sangue. Per molto di tutto ciò, ho un enorme rimorso. Per altre di queste cose, non ho alcun rimorso, avessi avuto la possibilità, avrei commesso le stesse azioni ancora senza fermarmi, soprattutto quando sono a mia protezione.
(James Lee Burke, Creole Belle, 1rosso, 2015, p. 33)
Dave Robicheaux, come tutti gli eroi moderni, non indossa un’armatura lucente e non è protagonista di avventure mirabolanti, come la ricerca del Santo Graal. Non è invincibile, anzi, viene picchiato, ferito, drogato. Egli non è neppure il simbolo del bene che vince il male. È vero che ha senso dell’onore e coraggio, e odia le ingiustizie, ma non è uno di quei personaggi manichei della vecchia letteratura europea.Usa spesso la violenza per ottenere informazioni o difendere la sua famiglia, perché ha capito che solo lui può farlo. La società, in tutta la sua estrema complessità, è avida e corrotta, e la giustizia e la morale alla fine sono pura illusione. Non esiste al mondo un luogo idilliaco, immune dalla forze del male: droga, violenza, corruzione, denaro. Per questo Dave combatte il male con le sue stesse armi, ed è l’unica cosa che può fare, se vuole sopravvivere (per un approfondimento cfr. Intervista a James Lee Burke, a cura di Wallace Stroby).
In America, l’opera di Burke è molto amata e apprezzata, ma riceve anche parecchie critiche. Recentemente Stuart Sim ha pubblicato un saggio in cui ha sostenuto che i valori morali della società americana contemporanea sono in netto declino. Soprattutto in alcune delle sue città principali, è sempre più diffusa la percezione di una società dedita alla violenza, alla criminalità, e alla corruzione politica; come conseguenza il popolo americano non riesce più ad avere fiducia nel sistema giuridico come in quello legale. E questo cambiamento si riflette nella letteratura poliziesca. Le opere di autori come James Ellroy, Walter Mosley, George Pelecanos e il nostro James Lee Burke, dimostrano come la figura del detective stia cambiando, trasformandosi in una specie di vigilantes, per cui la vendetta e la giustizia privata diventano il metodo primario per risolvere i crimini.
Stuart Sim sottolinea come questa evoluzione del romanzo poliziesco e dell’investigatore fosse già insita nei romanzi di Dashiel Hammett, generalmente considerato il creatore dello stile hard-boiled, ma negli autori contemporanei, secondo la sua opinione, perviene ad un relativismo morale molto pericoloso per la società stessa.
Secondo questo saggio, il personaggio di Robicheaux, creato da James Lee Burke, non appartiene più alla figura del detective o poliziotto eroe, ma è il simbolo di un malessere sociale, e viene definito “anti-detective”.
The overwhelming feeling the reader carries away from the series is of a tide of evil that barely can be held at bay. The New Orleans area is steeped in criminal activity and evil can never be contained for long… Robicheaux is fighting a losing battle and he is only too aware of this, descending into mindless violence himself… (La sensazione opprimente che il lettore trae dalla serie è di una marea di male che difficilmente può essere tenuto a bada. L’area di New Orleans è ricca di attività criminali e il male non può mai essere contenuto a lungo… Robicheaux sta combattendo una battaglia persa e lui è fin troppo consapevole di questo, lasciandosi andare ad una violenza insensata…)
(Cfr. Stuart Sim, Justice and Revenge in Contemporary American Crime Fiction, Palgrave Macmillan, 2015, p. 10)
Se non si può negare l’evidenza di una società che sempre più sta scivolando nel nichilismo e nell’amoralità, è anche vero che i romanzi, che ne riflettono i vizi e i peccati, non possono essere stigmatizzati e essere considerati un pericolo per la società stessa.
Difendere Burke non è difficile e forse non ne ha neppure bisogno, ma credo sia importante ricordare come all’inizio degli anni trenta, in America, i film di gangster subirono simili critiche. I film, che all’epoca sollevarono le proteste delle associazioni religiose e civiche, sono ora considerati tre capolavori assoluti del cinema: Little Caesar (1930, Piccolo Cesare) di M. LeRoy, The Public Enemy (1931, Nemico pubblico) di W. Wellman e lo stupendo Scarface – Shame of a Nation (1932, Scarface – Lo Sfregiato) del geniale H. Hawks.
Un altro errore di Stuart Sim, secondo me, è quello di ritenere che la figura dell’anti-detective sia un fenomeno relativamente recente. Per confutare il saggio di Sim, potrei partire addirittura dal vendicativo e violento James Stewart del ciclo western girato dal regista Anthony Mann; citare il poliziotto Dave Bannion in cerca di vendetta de Il grande caldo (The Big Heat, 1953) di Fritz Lang; recuperare “Il giustiziere della notte”, con protagonista ilcupo e roccioso Charles Bronson; passare per il ciclo di film con protagonista “Dirty Harry”, interpretato da Clint Eastwood; rivedere il capolavoro Il cattivo tenente di Abel Ferrara; e infine divertirmi con il furioso Martin Riggs di Arma letale 2. Ma più significativo di tutto è il fatto che la famosa quadrilogia del Los Angeles Police Department (The Black Dahlia, 1987; The Big Nowhere, 1988; L. A. Confidential, 1990; White Jazz, 1990), scritta da James Ellroy (citato tra gli esempi da Sim nel suo studio), sia ambientata negli anni quaranta e non nell’America contemporanea.
Tutti i centri di potere (politico, economico, giudiziario e poliziesco) sono oggetto di scalate ostili, che premiano l’avidità di uomini senza scrupoli. Possessione del successo richiede abiezione e vizio: per il potere ogni delitto è concesso. Ce molta sociologia hollywoodiana: del cinema Ellroy svela gli aspetti squallidi, le perversioni dei divi, i riti fasulli, i maneggi di registi e produttori…
(Mario Tirino, Parallelismi e convergenze nel moderno noir americano, in Dizionoir. Noir, thriller, spy story e zone limitrofe. La più completa guida agli autori e alle storie dell’inquietudine, a cura di Smocovich M., Delos Books, 2006).
Per finire, è da citare il capolavoro L’infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958) di Orson Welles, che forse più di tutti può confutare il saggio di Stuart Sim.
… Welles scolpisce il paradosso di un bene mai intero e sempre impotente, se non accetta l’alleanza con il male, e di un male ostinato, ma che suo malgrado genera una quota di bene – e insomma il paradosso di una legge strutturalmente imperfetta, che produce giustizia solo oltrepassandola, e di una giustizia che resta tale proprio mentre si converte in illegalità…
(Antonio Tricomi, Una storia anzitutto americana, in I fantasmi del moderno. Temi e figure del cinema noir, a cura di M. Pezzella e A. Tricomi, Cattedrale, 2010, p. 28)
Robicheaux è, in ogni modo, una figura molto più complessa di quanto indicato da Stuart Sim. Il nostro eroe è soprattutto un disilluso veterano del Vietnam, ossia uno di quei tanti soldati mandati a morire e a combattere in una guerra in cui non credevano, e abbandonati a se stessi dopo essere tornati a casa. Ed è questo uno dei nodi cruciali della psicologia di Robicheaux, il suo sentirsi isolato e abbandonato dalla sua patria, proprio come il popolo della Lousiana dopo l’uragano Katrina. La sua giustizia privata e le sue esplosioni scioccanti di violenza mettono sicuramente in discussione “the genre’s already shaky moral foundations”, ma sono, come ha asserito lo stesso Burke in alcune sue interviste, l’unico modo per punire coloro che, per collusione con i poteri forti, sfuggirebbero alla condanna legale. Questo scendere tra i mostri e combatterli con le loro stesse armi, però, non è senza conseguenze per Robicheaux. Egli è continuamente tormentato tra il suo “victorian paternalist patriarchal idealism and its dialectical Other, the urge to get down with the rampaging monsters and go with the flow…” (Andrew Pepper, The Contemporary American Crime Novel: Race, Ethnicity, Gender, Class. Edinburgh University Press, 2000, p. 67). E questa tensione riaffiora continuamente in tutti i libri della saga. Per Burke un buon romanzo poliziesco non può parlare solo dei crimini, ma indagare il motivo di essi, ossia approfondire la natura del male, insita nell’uomo.
Come Stuart Sim, anche Samuel Coale è convinto che i personaggi di Burke vivano in una specie di zona di combattimento darwiniana. Coale, però, sottolinea come la bravura di Burke è proprio quella di riuscire a rappresentare i personaggi principali “in their own disturbing realm between sadism and sentiment, terror and tenderness.” (Cfr. Samuel Coale, The Mystery of Mysteries: Cultural Differences and Designs, Bowling Green State University Popular Press, 2000, p. 143).
Quando un prete, in Burning Angel (1995), chiede a Robicheaux da cosa derivi la rabbia e la violenza che rischiano di distruggerlo, egli risponde: «È quello che abbiamo concesso a tutti loro – ai trafficanti di droga, agli industriali, ai politici. Ci siamo arresi senza nemmeno combattere» (James Lee Burke, L’angelo in fiamme, Baldini & Castoldi, 1998).
La realtà nuda e cruda è questa: se gli stessi politici, i giudici, i poliziotti sono corrotti come si può sperare di vincere il male, se non scendendo noi stessi in guerra? E concludo citando una vecchia intervista dello stesso Burke:
La verità è che noi viviamo in tempi violenti. Chi abita in una qualsiasi città, in questo paese, vive una situazione culturale e sociale che ha un equivalente soltanto in una città come Beirut. Spesso la gente solleva il problema della violenza di Robicheaux senza considerare il fatto che l’estrema violenza di cui può essere vittima un essere umano è di avere dei rimorsi per non essere riuscito a reagire, per aver consentito che qualcosa di atroce potesse succedergli. In sostanza, tutti siamo responsabili del nostro destino.
(Dall’intervista riportata alla fine del romanzo Black Cherry Blues – Il Giallo Mondadori – Settimanale N. 2330 – 26 settembre 1993)
Burke, Aristotele e Platone…
Per Burke, la letteratura non serve solo a intrattenere il lettore o a denunciare il male della società, essa ha anche una funzione catartica. Egli, infatti, si considera uno scrittore di “crime novel”, ma con legami persino con la tragedia greca: “I call my work crime novels. There’s not much mystery in them. I believe that almost all great work involves crime. Hamlet was a crime. The Bible is filled with crime, all Greek tragedy is. I try to abide by Aristotle’s view that art requires the descent of man, from a noble place to one that is ultimately humble… (Io definisco i miei romanzi crime novel. Non c’è molto mistero in essi. Credo che quasi tutti i grandi capolavori contengano crimini. Amleto era un criminale. La Bibbia è piena di crimine, e anche tutta la tragedia greca lo è. Cerco di rispettare il punto di vista di Aristotele, secondo cui l’arte richiede la discesa dell’uomo, da un luogo nobile a uno che è profondamente oscuro… – cfr. Interview: James Lee Burke, di Sean Woods – 2013). Burke fa riferimento al concetto di kàtharsis (purificazione) di Aristotele, secondo cui lo spettatore delle opere tragiche si identifica emotivamente con i personaggi in scena. Il pubblico riesce così a comprendere le passioni che scaturiscono dal proprio inconscio più profondo e a integrarle, conquistando l’equilibrio psichico.
L’opera di Burke avrebbe quindi come finalità, oltre quella di intrattenere il lettore, anche quella catartica di Aristotele. Una visione ben lontana da quella negativa di Stuart Sim, che pare invece ispirarsi all’altro grande filosofo dell’antichità, Platone. Quest’ultimo, infatti, pensava che l’arte e la tragedia corrompessero l’animo umano.
Una diatriba, dunque, quella sull’influenza negativa o positiva dell’arte sulla vita, che risale addirittura al tempo dei greci antichi.
Tra realtà e sogno…
Per me, la Louisiana è sempre stata un posto infestato. Credo che gli spettri degli schiavi degli indiani Houma e Atakapa e dei pirati e dei i soldati confederati e dei contadini dell’Acadia e le reginette delle piantagioni sono ancora là fuori nella nebbia. Io credo che la loro storia non sia mai stata raccontata adeguatamente e che non riposeranno finché sarà così.
(James Lee Burke, Creole Belle, 1rosso, 2015, pp. 36-37)
Pur trattandosi di romanzi raccontati in modo molto realistico, sino ad arrivare alla denuncia politica e sociale, le opere di Burke sono caratterizzate da spruzzate di soprannaturale. Nella saga dedicata a Billy Bob Holland, ad esempio, il protagonista ha lunghe conversazioni con il suo defunto compagno Texas Ranger, LQ Navarro. In The Electric Mist with the Confederate Dead (1993), Dave Robicheaux si ritrova più volte a conversare con un soldato confederato morto. Nel terzo episodio della saga, Black Cherry Blues, Dave incontra spesso la moglie morta, che lo consola e consiglia.
Nei miei sogni c’è un luogo acquatico e in quel luogo vivono mia moglie e alcuni dei miei migliori amici… Non li posso visitare a piacere, ma a volte sono loro a chiamarmi. Nella mia mente riesco a vederli distintamente… Annie non è molto cambiata. I suoi occhi sono di un azzurro elettrico, i suoi capelli crespi e dorati. Le spalle sono ancora ricoperte di lentiggini. Sul davanti della camicia da notte si aprono alcuni fiori rossi, dove gli assassini l’hanno colpita con le loro pallottole da caccia.
(James Lee Burke, Black Cherry Blues, Il Giallo Mondadori – Settimanale N. 2330 – 26 settembre 1993)
Per chi fosse interessato, Barbara Bogue ha dedicato un capitolo del suo libro a questo argomento: Robicheaux and the Supernatural (in James Lee Burke And the Soul of Dave Robicheaux: A Critical Study of the Crime Fiction Series, Mcfarland & Co Inc Pub, 2006, pp. 103-114).
Anche in Creole Belleaccade qualcosa del genere, quando Dave, sotto l’effetto della morfina, crede di aver visto una donna al suo capezzale.
Ciò che, però, conta ancora di più è il fatto che il protagonista e con lui il lettore non riescono a capire se è accaduto veramente. Anthony Rainone li ha definiti vivid dreams, ossia sogni vividi. Burke ha spiegato, riferendosi a Shakespeare, che il solo modo per comprendere il mondo risiede nell’inconscio e quindi nei sogni: “Shakespeare said all power lies in the world of dreams. The great body of human understanding is in the unconscious, in the world of dreams.” (Jammin’ with James Lee Burke, a cura di Anthony Rainone).
Lo stesso concetto è ripetuto quasi con le stesse parole nel primo romanzo della saga: “Shakespeare disse che il potere sta nel mondo dei sogni, e io credo che avesse ragione. In qualche modo il sonno ci permette di vedere chiaramente le cose che la luce del giorno tiene nascoste” (James Lee Burke, Pioggia al neon, Baldini&Castoldi 1998).
Questo fascino che Burke prova per incubi, sogni profetici o allucinazioni che siano, unito alle liriche raffigurazioni di paludi nebbiose e abbandonate architetture gotiche, crea la sensazione che nulla sia certo, che la realtà perda consistenza mentre il sogno sembra invadere il mondo.
Questo amore per il mondo dell’incubo e delle ambientazioni gotiche deriva a Burke da Poe, Faulkner e Tennessee Williams. Il romanzo statunitense trovò la sua prima forma proprio nel genere gotico. E, nella letteratura del sud, questo genere crepuscolare fu ben accolto da molti grandi scrittori, che lo utilizzarono per parlare della società e delle sue forme deviate di violenza.
… nella letteratura del Sud… il gotico diviene registro espressivo privilegiato per raccontare una regione in cui passato e presente sono intrisi di sangue: autori come William Faulkner, Flannery O’Connor, Tennessee Williams, Truman Capote, James Dickey… e altri nostri contemporanei come Cormac McCarthy o Joe R. Lansdale…
(Cinzia Schiavini, Gotico americano, in AA.VV, Americana. Storie e culture degli Stati Uniti dalla A alla Z, Il Saggiatore 2012, p. 276)
Questa dimensione “altra” bene si sposa con quella della “crime novel” di Burke, caratterizzata da violenza e caos. In entrambi i casi, Burke sembra suggerire che l’universo è indecifrabile e ingestibile. I confini tra bene e male, tra realtà e incubo, sono labili e indistinti. La follia può varcare in qualsiasi momento la linea di confine, certe volte nei panni di fantasmi o allucinazioni, altre volte nella forma di violenza che sfocia nell’omicidio.
L’ambientazione stessaa sud di New Iberia in Louisiana, è un luogo di contrasti fra acqua e terra, tra natura primordiale e modernità industriale, tra povertà e ricchezza. Ogni elemento è in continuo mutamento. La nebbia, inoltre, smussa i contorni rendendoli incerti. Non vi è nulla di definito e sembra che tutto possa accadere in luoghi del genere, anche di vedere e parlare con un fantasma.
Un universo intricato e fascinoso, dunque, di facile esotismo ma anche di disturbanti realtà, che mescola suggestioni diverse e ha il sapore inebriante e dolciastro delle magnolie e della frutta che matura, fermenta e deperisce… Ma soprattutto New Orleans è la città affacciata sul grande Lake Pontchartrain e attraversata dal sinuoso e maestoso Mississippi: una città-isola racchiusa da acque incombenti da ogni dove, da nord e da sud, dall’alto e dal basso, una città in costante attesa della catastrofe…
(Mario Maffi, Congo Square New Orleans, in AA.VV, Americana. Storie e culture degli Stati Uniti dalla A alla Z, Il Saggiatore 2012, pp. 169-170)
È una specie di mondo di mezzo, dove realtà e sogno, conscio e inconscio, possono incontrarsi. Dave Robicheaux stesso è un personaggio al limite e sempre in bilico. Egli è in lotta perenne con l’alcolismo, con attacchi di malaria e con i fantasmi del proprio passato. La sua instabilità mentale è accresciuta dal suo rifiuto della deprimente e dolorosa realtà.
Tutto ciò mi ricorda Fred, il protagonista del film Strade perdute (1997 – David Lynch), considerato da molta critica un noir moderno. L’inizio del film è significativo: si apre con l’immagine di una strada buia, illuminata solo dai fari di un’auto che corre sulla linea di mezzeria. Simbolicamente, l’auto non sta né da un lato né dall’altro della strada. Fred sta correndo da solo nel buio della notte, lottando con se stesso e i propri ricordi rimossi. Egli ha commesso un’azione tanto tremenda e insostenibile psicologicamente che la sua mente l’ha rimossa. Per questo l’auto di Fred (la sua mente) corre sulla mezzeria: da un lato della strada il suo inconscio sta cercando di riportare in superficie il delitto commesso, mentre dall’altro lato vi è il rifiuto della realtà e il rifugio nell’oblio.
Sia Fred che Dave si sentono smarriti: Fred è perso nelle tenebre della notte, incapace di ricordare; Dave è drogato dalla morfina. Entrambi vedono una specie di fantasma che cerca di guidarli verso la verità. In Strade perdute, Fred viene avvicinato più volte da un uomo misterioso, che cerca di smascherare l’inganno mentale in cui egli si è rifugiato, creandosi una identità alternativa. In Creole Belle,Dave, ferito a morte e drogato, intravede una donna che egli ricorda di aver già conosciuto e che è lì per chiedergli aiuto.
Concluderei sostenendo che queste figure fantasmatiche, che troviamo nei romanzi di Burke, più che appartenere al soprannaturalesembrano manifestazioni del mondo dell’inconscio. Il loro apparire coincide di solito con momenti di estremo pericolo o stress psicologico, uniti alla debolezza mentale, causata da droghe, alcol o malaria. Apparizioni che ben si coniugano all’atmosfera gotica, alle vicende caotiche e violente e al personaggio al limite di Dave. Questo non esclude, sia chiaro, l’elemento soprannaturale. Burke, ripeto, si muove sempre al confine tra più mondi, rendendo tutto indefinito e possibile.
Si pensi al colpo di scena finale di L’occhio del ciclone, quando la figlia adottiva di Dave trova una vecchia foto che ritrae il padre insieme al soldato sudista morto:
Mi ero illuso di poter rivedere, nelle nebbie mattutine che sorgevano dal mare e risalivano i canyon, il nobile e cavalleresco John Bell Hood. Anche solo per un istante, per un cenno di saluto col cappello… Finché una sera, due giorni prima di tornare a casa, raggiunsi Alafair in terrazzo…
— Sei nella fotografia — disse. — Con quel vecchio che io e Poteet abbiamo visto nel campo di granturco. Sai, quello che puzzava di sudore. — Ruotò il volume per mostrarmi l’immagine.
Il generale e sette dei suoi uomini posavano con la solennità e la rigidezza dei vecchi ritratti.
— Didietro — soggiunse Alafair. — Quello senza il fucile. Sei tu, Dave. — Mi guardò con espressione confusa, un invisibile punto interrogativo nel mezzo del volto. — Non sei mica tu?
(James Lee Burke, L’occhio del ciclone, Il Giallo Mondadori n. 2635 del 1 agosto 1999)
Non dimentichiamoci che Amleto (Burke è un appassionato dell’opera di Shakespeare) inizia a progettare l’omicidio dello zio, dopo aver incontrato il fantasma del padre, e soprattutto che, anche se Amleto è l’unico a vedere il fantasma, il lettore non pensa assolutamente che si tratti di una sua allucinazione. L’esistenza del fantasma del padre è reale quanto l’odio che Amleto prova per lo zio.
Creole Belle e l’ossessione del passato che ritorna…
Dave Robicheaux è un personaggio ossessionato dai ricordi, che evocano sia il suo passato personale (Vietnam e alcolismo) sia il passato della Lousiana. Egli non ama il presente violento e amorale in cui è costretto a vivere. Le sue radici cajun lo legano al passato, al vecchio sud, ad un mondo rurale che sta andando perduto. Dave utilizza spesso il termine “Nuovo Sud” per descrivere il Sud contemporaneo, dove compagnie petrolifere e chimiche, colluse con la mafia e i politici corrotti, sfruttano i poveri e le risorse naturali. Dave piange quindi la scomparsa di uno stile di vita semplice e di una natura primitiva e incontaminata, e dichiara spesso che il mondo non gli piace così com’è e che gli manca il passato.
Eravamo fuori fase e fuori sincronia con il mondo e con noi stessi, e sapendo questo, ci sostenemmo l’un l’altro come due uomini in una tempesta, il fuoco che bruciava così luminoso dietro di noi che il retro dei nostri colli brillava per il calore.
(James Lee Burke, Creole Belle, 1rosso, 2015, p. 568)
Ma i romanzi di Burke offrono una visione molto più complessa del passato, quella nostalgica ma anche quella critica: il passato contiene in sé anche i semi del male chepossono germogliare e diventare potenti e pericolosi nel presente (cfr. Shelton Frank W., James LeeBurke’s Dave Robicheaux Novels,in TheWorld Is Our Home: Society and Culture in Contemporary Southern Writing, a cura diJeffrey J. Folks and Nancy Summers Folks, Lexington: University Press of Kentucky, 2000, pp. 234-243).
La tematica del passato che esercita un enorme potere sul presente è ripreso dai romanzi di Faulkner. In Creole Belle riappare, ad esempio, un tema già affrontato in precedenti opere di Burke, quello del male assoluto rappresentato dai nazisti. Già nel primo romanzo della saga, Pioggia al neon, Burke aveva accennato ad un sottomarino tedesco affondato al largo delle coste della Louisiana.
Alcune miglia a ovest, poco a sud di Morgan City, si trovava il relitto semidistrutto e coperto di mitili dell’U-boat tedesco che un cacciatorpediniere americano aveva inchiodato nel 1942, quando i sottomarini nazisti aspettavano le petroliere che partivano dalle raffinerie di Baton Rouge e New Orleans per affondarle… Scoprii che quel relitto si muoveva di parecchie miglia su e giù per la costa della Louisiana, ed era stata solo una coincidenza che fosse stato sbilanciato da una forte corrente proprio mentre io ero lì sopra. Ma non riuscii a levarmi dalla mente l’immagine di quei nazisti annegati che navigavano ancora dopo tutti quegli anni, le cavità degli occhi e le bocche scheletriche piene di alghe, cercando di attuare il loro diabolico piano sotto la tranquilla superficie smeraldina del Golfo.
(James Lee Burke, Pioggia al neon, Baldini & Castoldi 1998)
Ma è in Dixie City Jam del 1994 (Rabbia a New Orleans, Baldini & Castoldi, 1997) che lo stesso sommergibile nazista è al centro della trama, irradiando il male del passato anche nel presente, nei panni di uno psicopatico neonazista che si fa chiamare Will Buchalter.
In Creole Belle il tema viene ripreso e approfondito, caricandolo di significati anche filosofici sulla natura del male, e sul fascino che esso esercita sull’animo umano.
Burke come Chandler…
Termino questo lungo (ma spero interessante) articolo, citando un passo di David Geherin in cui viene giustamente evidenziato come Burke sia più un creatore di personaggi che di trame.
Burke, however, like Raymond Chandler, is an author one reads not for the plot but for the characters, the colorful dialogue, and the sheer brilliance of his language. Arguably the most descriptive and poetic of all contemporary crime writers… He composes such lush paragraphs of rich descriptive prose that readers can almost feel the humidity and taste the pungent air rising from the page… (Burke, tuttavia, come Raymond Chandler, è un autore che uno legge non per le sue trame ma per i personaggi, il dialogo colorato, e la pura brillantezza del suo linguaggio. Probabilmente il più descrittivo e poetico di tutti gli scrittori contemporanei di polizieschi… Compone tali passi lussureggianti e ricchi di prosa descrittiva che i lettori possono quasi sentire l’umidità e gustare l’aria pungente che sorge dalla pagina…).
(David Geherin, Scene of the Crime: The Importance of Place in Crime and Mystery Fiction, Mcfarland & Co Inc Pub, 2008, p. 104)
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