Con una bella copertina in bianco e nero seppiato, dove su sfondo Duomo di Milano si affretta pensosa e di spalle una donna in impermeabile rosso (puro stile Angela Marsons e Patricia Gibney), SEM pubblica l’ultimo romanzo di Marina Visentin, la giornalista di cinema e tv di cui Maurizio de Giovanni si è speso sino a definirla “Un’autrice da scoprire”.
Questo suo Cuore di rabbia, thriller a più strati (o a cerchi concentrici, se vogliamo mutuare una definizione che Marina consegna della città dove ambientato) offre una storia attuale, in cui una anziana signora della Milano bene, imparentata con un assessore traffichino, scompare nel nulla lasciando dietro di sé una traccia insanguinata, una scarpa ed un ombrello rosso. Viene incaricata di condurre le indagini Giulia Ferro, appena promossa vice-questore e per questo motivo ri-trasferitasi nel capoluogo meneghino dopo anni trascorsi a Bologna. Marina non descrive la sua protagonista, se non “a specchio”, ossia per come la vedono gli altri. Nelle quasi 350 pagine in cui si snoda la trama (anzi, le trame, perché di misteri da risolvere ne esistono almeno due, con un terzo in sotto-traccia), impariamo ad apprezzare questa ragazza dai modi asciutti, che spesso si fa violenza per stare zitta, quando invece manderebbe a maledire testimoni, superiori ed anche Alfio, il suo bellissimo vice, afflitto dal vizio di essere un inguaribile battutaro.
Mentre tutta la Milano che conta si domanda che fine abbia fatto la ricca Esmeralda (e pressa di conseguenza il prefetto, il questore e tutte le gerarchie investigative), Giulia è attratta da un sogno magnetico che la riporta con prepotenza ad un episodio del suo passato, quando una sua compagna della facoltà di filosofia era stata trovata morta carbonizzata, e parte con un’indagine non autorizzata che, tra Carpugnino, i laghi sottostanti al Mottarone e l’isola di Salina, le consegnerà la soluzione di ambedue i misteri lasciando, con l’arte tipica di un’autrice che ha chiaro come le avventure della Ferro debbano proseguire, un’area ancora inesplorata che è già promessa di un sequel.
Marina Visentin ha una penna molto allenata ed un cervello fino e provocatorio, che qui si diverte a sparigliare clichè (sposare il figlio del farmacista e vivere in villa vista lago può far ridere fino alle lacrime la futura sposa, conscia di tanta “tristezza per bene”, per dirne uno) e a farci affezionare ad un personaggio, come Giulia, costantemente in fuga ma condannata a tornare negli stessi luoghi da cui è scappata, una ragazza senza amori (per la quale chiedersi se un uomo le telefonerà “è già un successo”) e senza amici (perché “quelli di prima non contano, li ho persi tutti per strada e non ho mai avuto voglia di tornare indietro a cercarli”), che si fida solo dei libri e va a nuotare in piscina per vincere la paura dell’acqua e godersi il silenzio. Una donna abitata da fantasmi, “i soliti”, in preda al senso di “colpa del non sentire niente”.
Il panorama editoriale attuale è molto ricco di romanzi di genere, e quelli scritti da donne hanno, a mio parere, la marcia in più dell’empatia, tipicamente femminile, con cui il personaggio riesce ad acquisire tridimensionalità. Giulia Ferro è una donna schiva, fuori dal clichè (eccone un altro) molto di moda adesso dell’investigatrice gnocca, dal tacco a stiletto, che sbafa a quattro palmenti senza mettere su un etto e la Visentin, da allenatissima recensore di film, ce ne offre fotogrammi senza colori dove noi abbiamo diritto a rappresentarci la sua protagonista come ci pare e possiamo immaginare che, in un futuro che ci auguriamo sia prossimo, anche lei imparerà a guardare al passato senza paura.
Recensione di Alessia Sorgato.
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