Trentino-Alto Adige. Un bambino si sottrae per pochi istanti allo sguardo dei genitori e scompare misteriosamente nei boschi intorno a Bolzano. Si può riassumere così l’incipit de “Del dirsi addio”, bellissimo romanzo griffato Marcello Fois.
Il caso, su cui indaga il Commissario Sergio Striggio, originario di Bologna, coadiuvato dall’Ispettore Capo Elisabetta Minetti, si presenta subito senza alcun indizio apparente, se non per il fatto che Michele, il piccolo svanito nel nulla, è un bambino “speciale”, dalle notevoli doti di apprendimento ma dalle non poche difficoltà nel relazionarsi con gli altri, e i suoi due genitori sono alle prese con una profonda crisi che ha radici nel passato.
Sergio Striggio ha un compagno, Leo, a cui è molto legato, tuttavia non riesce a vivere del tutto apertamente la relazione anche a causa della cinica e ingombrante presenza del padre, un ex poliziotto; l’inchiesta da una parte e la sfera privata dall’altra si intersecheranno tra loro in modo ingannevole, in un gioco di luci e ombre, condizionandosi e influenzandosi a vicenda, con l’apparente sensazione che entrambi i percorsi non abbiano via d’uscita.
Il romanzo è suddiviso in quattro parti, ciascuna delle quali ha come titolo uno dei quattro elementi (terra, fuoco, acqua, aria) alla base delle origini dell’universo nella mitologia di gran parte delle civiltà occidentali e orientali e che, dalla loro armonia, dipenderebbe la vita dell’essere umano e la sopravvivenza del cosmo. Difatti, nella storia si respira la fragilità dell’equilibrio esistenziale in cui, alla stregua di un funambolo, Striggio tenta di destreggiarsi tra i contrasti quotidiani e professionali.
Marcello Fois miscela sapientemente l’altalenante percorso dell’indagine con le divergenze della vita privata di Striggio. L’addentrarsi nella quotidianità del piccolo Michele e dei genitori, nel tentativo di scovare una traccia che lo conduca alla soluzione del caso, farà riemergere alla memoria del poliziotto alcuni episodi della propria tormentata adolescenza, tra cui, oltre al conflittuale rapporto con il padre, anche quello tanto forte quanto delicato con la madre e la malattia che la porterà via. Il progredire dell’investigazione assumerà i contorni di un viaggio tortuoso, insidioso ma soprattutto catartico; Striggio arriverà a comprendere che la salvezza spesso passa dal riuscire non a dire addio, bensì a “dirsi” addio, ovvero a disancorarsi da quelle pastoie della propria personalità fatte di paure, tensioni, desolazioni, tristezze, per essere in grado di amare, odiare, soffrire e gioire in pace con se stessi; perché, come riflette lui stesso, …definire, e persino rivendicare, la propria posizione nel mondo è come avanzare a capo chino contro le raffiche di vento, opporsi ai tifoni…
Sono innumerevoli i motivi per cui un libro ci attrae, e gran parte hanno a che fare con la nostra soggettività, con il nostro modo intimo, personale, del tutto unico e irrinunciabile di vedere e interpretare le cose. Per quanto mi riguarda, cari avventori di Thriller Cafè, uno di questi è la citazione o la dedica posta in epigrafe che, appena ho un romanzo tra le mani, puntualmente vado subito a controllarne la presenza o meno; forse per quell’allusione alla trama a cui idealmente rimanda e al messaggio che è in attesa di essere svelato dal lettore, come se l’opera scritta fosse un regalo impacchettato che quasi istintivamente agito cercando di indovinarne il contenuto, per poi apprestarmi a “scartarlo” pagina dopo pagina.
La dedica de “Del dirsi addio”, che trovo stupenda, mi ha colpito in modo particolare, probabilmente per il profondo turbamento politico, sociale e ambientale che il mondo sta attraversando ai giorni nostri e che non sembra profilare un futuro roseo all’orizzonte, e pertanto risalta in tutta la sua attualità e aspettativa: Ci sono persone che per un paradiso presunto fanno della terra un inferno: questo romanzo è dedicato a tutti gli altri.
Credo che la “sorpresa” che il lettore scoprirà leggendo questa storia, dopo aver “scartato il pacco”, sia senza ombra di dubbio all’altezza. E sa di speranza.
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