Oggi al Thriller Café recensiamo “Demoni urbani – I mostri sono tra noi” di Giuseppe Paternò Raddusa, edito da Sperling & Kupfer. Demoni urbani è un podcast true crime che ha riscosso grande consenso di pubblico negli ultimi anni: ne abbiamo parlato qui. Non preoccupatevi, però, se non ne avete mai sentito parlare o se non avete l’abitudine di ascoltare podcast: il libro, infatti, è perfettamente indipendente e fruibile anche per chi non ha mai sentito la voce calda e tenebrosa del grande Francesco Migliaccio, la voce narrante della serie. Se invece l’avete già ascoltato, beh, in quel caso è inevitabile: durante la lettura vi sembrerà che le storie ve le stia raccontando proprio lui!
La voce e lo stile di Migliaccio hanno senz’altro decretato il successo di Demoni Urbani, ma leggendo il libro potrete realizzare che dietro alla geniale interpretazione c’è qualcosa di più: uno story telling solido e coinvolgente, tessuto con ricercatezza e sensibilità da Giuseppe Paternò Raddusa, che si dimostra davvero degno di sedere nell’Olimpo dei narratori di Crime italiano, fianco a fianco con mostri sacri del calibro di Franca Leosini o Carlo Lucarelli.
“Demoni Urbani – I mostri sono tra noi” è una vera e propria passeggiata all’inferno: quattordici capitoli che sono altrettanti passi nell’abiezione umana. Quattordici storie di crimini realmente accaduti nel nostro “Bel Paese”, la maggior parte delle quali ancora inedite e mai raccontate nell’audio show. Tra le sue pagine incontrerete personaggi capaci di fare accapponare la pelle. La parata inizia con Lady Gucci, assassina per procura nel 1995, subito affiancata dalla storia meno nota della “Mantide di Gassino Torinese”, Luisella Pullara, anch’essa uxoricida. Segue Desy, massacrata a coltellate in una cascina del bresciano, che ci riporta indietro ai primi anni Duemila. E poi ancora i delitti della spyder rossa, Sonya Caleffi l’angelo della morte, gli annunci di sangue di Cesare Serviatti, il caso Frigerio, il Mostro di Foligno… Sono titoli che portano alla mente ricordi più o meno vaghi, titoli dei giornali e notiziari serali semi dimenticati, più o meno rimossi o addirittura ignoti ai lettori e alle lettrici più giovani. Grazie all’abilità di Paternò Raddusa, queste storie riprendono vita, si scuotono la polvere di dosso e tornano a colpirci con violenza alla bocca dello stomaco.
Quello che colpisce, al di là delle raffinatezze narrative, dei sapienti salti temporali in avanti e indietro e delle coinvolgenti divagazioni e variazioni sul tema, è anche l’umanità e la sensibilità con cui queste storie vengono raccontate. Leggendole non ci si sente dei “voyeur” intenti a spiare gli orrori dal buco della serratura, ma piuttosto esseri umani affacciati su un abisso che, come ci ha insegnato Nietzsche, è altrettanto pronto a guardare in noi. In queste pagine non troverete facili condanne o perbenistiche riprovazioni, quanto piuttosto l’analisi del male, un male che molto spesso, come ci ha insegnato un’altra filosofa, Hannah Harendt, è banale, ma non per questo meno tossico. Il tutto con la consapevolezza che “per quanto i crimini possano essere decriptati e analizzati, sugli umani che li commettono le sorprese non smettono mai di esplodere”.
Alla fine, a ben vedere, l’indagine sulla morte apre a un corollario di riflessioni sulla vita. Come spiega Giacomo Zito nella prefazione “Ogni storia scarnifica all’osso il nostro essere animali sociali, rivelandoci per quello che siamo: esseri tremendamente fragili, capaci per questo di rispondere con inaudita violenza alla paura del domani”.
Una cosa ve la posso assicurare: per quanto ogni racconto sia separato dagli altri, una volta che avrete iniziato a spigolare questi “fiori del male”, farete fatica a smettere, perché uno tira l’altro. Se l’arrivo delle Feste e della loro inevitabile retorica vi crea un po’ di angoscia, tra queste pagine troverete sicuramente un po’ di sollievo…
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