Edito da Edizioni E/O recensiamo Dopo la guerra, uno dei migliori romanzi di un grande autore francese di noir e polizieschi, Hervé Le Corre.
Il dopoguerra a Bordeaux è noir. Albert Darlac, commissario di polizia, si circonda di figure losche per gestire la difficile transazione post-bellica e non lesina violenze e omicidi pur di mantenere il potere nella sua città. D’altronde, più di uno sbirro è stato collaborazionista e nonostante la Liberazione abbia ufficialmente chiuso i conti col passato, le ferite del conflitto non si sono ancora rimarginate, né da una parte né dall’altra. Le vendette continuano e sono talmente tanti i torti da riparare che è difficile capire da quale nemico può arrivare la prossima coltellata. André, il cui vero nome è stato nascosto come le azioni compiute da molti durante la guerra, torna in città deciso a far pagare al commissario le sue colpe.
Daniel è un ragazzo, figlio di una donna ebrea, che durante l’occupazione nazista è stato nascosto da una famiglia amica dei suoi genitori, dei quali non si sa più nulla. Come tanti suoi coetanei, aspetta il momento in cui verrà chiamato per andare in Algeria. La minaccia di questa nuova guerra incombe infatti sui giovani, costretti a tarpare i loro sogni di una vita normale; c’è chi fugge su navi mercantili e chi, come Daniel, affronta la leva senza convinzione ma senza ribellarsi, con fatalismo, vedendosi strappare gli anni migliori per combattere gli algerini per una causa che non sente sua. Così il ragazzo, che ama osservare il mondo come dietro l’inquadratura di una cinepresa, si ritroverà in Africa a guardare attraverso il mirino di un fucile. Unico suo compagno, sotto al sole cocente, è Giovanni, come lui restio a sparare ai partigiani algerini. Ma in battaglia al nemico non importa se in tasca hai la tessera del Partito Comunista e personalmente sostieni le sue ragioni; la guerra è guerra e se non uccidi vieni ucciso. Come ogni passaggio del libro, anche la realtà del conflitto algerino, tra la stolidità dei commilitoni e l’ordinarietà dell’ingiustizia e della violenza, è reso in maniera vivida usando solo la precisione descrittiva.
Le Corre racconta le vicende con realismo, usando uno stile senza enfasi, capace di evocare in maniera precisa ambientazioni e sensazioni, anche quando esse sono particolarmente dure, come nel racconto del reduce dal campo di concentramento, che sopravvive in mezzo all’orrore e alla morte e successivamente è costretto a convivere coi fantasmi che gli infestano la testa guastando il suo ritorno alla vita di tutti i giorni. Un racconto maschio, nel quale ogni tanto si inseriscono stralci di discorso indiretto libero, come un flusso di battute o di pensieri dei personaggi. Questo stile, coinvolgente per tutto il romanzo, raggiunge i suoi apici proprio quando affronta le sensazioni più torbide, come i turbamenti successivi alla vendetta, i sensi di colpa, l’anima nera del commissario. Lo scrittore francese non concede niente a Darlac: ne fa un personaggio negativo sia nella vita pubblica che in quella privata; un poliziotto che durante la guerra non ha avuto remore a stare dalla parte del più forte, sfruttando il mercato nero e torturando i partigiani; dopo la Liberazione ha continuato a fare il suo lavoro in maniera sporca, mantenendo l’ordine costituito con i soprusi. D’altronde, come dice il commissario Laborde, “non esiste una buona polizia senza cattive frequentazioni”; ma di buono in questa storia c’è veramente poco. In casa, Darlac è un marito padrone, che picchia la moglie e la stupra senza pentimento, sfogando così un odio rabbioso nei suoi confronti. Le Corre comunque non ha uno sguardo moralistico, conserva la sua prosa asciutta ma penetrante, anche quando si tratta di rendere conto delle voglie bestiali che quasi travolgono il commissario di fronte alla figlia adolescente. Istinti contro i quali combatte, in un misto di nausea e ira che contraddistingue il suo rapporto col mondo.
Dopo la guerra è tante cose assieme. Ha molti elementi del polar: sbirri corrotti, inseguimenti, informatori, prostitute, arresti; è un romanzo storico, un grande affresco che vive non tanto di rievocazione di episodi precisi ma del clima che si respira per le strade, delle sensazioni che gli uomini e le donne provano di fronte ad un presente che sa ancora troppo di passato per essere davvero un cambiamento. È dunque anche un romanzo di guerra, o almeno un romanzo di un soldato, Daniel: Le Corre sceglie il suo punto di vista e non quello di Giovanni, convinto comunista dalle idee più salde, perché è più congeniale alla sua poetica della normalità, la normalità della guerra in questo caso, dell’inferno in cui si ritroverà il protagonista che non è un eroe, ha delle convinzioni ma come la maggior parte degli uomini si lascia trascinare dal flusso degli eventi. Pur potendo già immaginare quello che lo aspetta (ci sono echi del Joker di Full Metal Jacket nella sua parabola), il lettore viene comunque colpito da brandelli di orrore che emergono da quei territori ostili.
Questo romanzo, la cui unica piccola pecca è un finale un po’ convenzionale ma che nulla toglie alla bellezza di un libro che rappresenta un must non solo per gli appassionati del genere noir ma per gli amanti della letteratura tout court, è infine anche la storia di una sfida tra due uomini, Darlac e André, quella di un padre e di un figlio divisi dal destino e dalle scelte del genitore, e il racconto di tre persone che si ritrovano ad affrontare il passato, quella guerra che li ha segnati e nella quale ritroveranno eternamente la loro identità.
Si viene sempre traditi da qualcuno, anche da se stessi.
Nato nel 1955 a Bordeaux dove ancora vive e insegna, Hervé Le Corre ha raccolto in carriera innumerevoli riconoscimenti fra cui il Prix Mystère, il Prix du roman noir Nouvel Obs/Bibliobs, il Premio Le Point (proprio con Dopo la guerra) e il Grand Prix de Littérature policière. Con Il Perfezionista, pubblicato da Piemme nel 2012, è riuscito ad ottenere anche il Grand Prix du roman noir français di Cognac e il Prix Mystère de la critique.
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