Siamo al secondo episodio della serie legata alla procura di Ardese, il cui primo volume era intitolato ‘Quota 33‘, sempre edito da Tea e scritto dal Magistrato Roberta Gallego, definita la nuova voce del giallo italiano. La Gallego riporta in discussione la tematica delle Procure e delle investigazioni in un ambiente sempre più complesso a livello procedurale e sempre meno efficiente dal lato pratico. Protagonista è la piccola provincia di Belluno e la sua Procura perché è proprio al suo interno che si svolgono i fatti narrati; piccola, dicevamo, ma che non ha altrettanti piccoli problemi e che cerca di destreggiarsi tra ambienti opulenti dalle contaminazioni multirazziali e la difficoltà dei singoli membri all’interno delle proprie famiglie. La cronaca, e viene da dire purtroppo, regala ancora una volta lo spunto per parlare di criminalità organizzata straniera dove chi viene colpito sono facoltosi all’interno delle proprie ville. Se un tempo era pericoloso girare per strada esibendo gioielli o sfoggiando auto di lusso, con l’arrivo di nuove etnie tutta la società si è dovuta rimettere in discussione perché nessuno si può ritenere più al sicuro. E’ anche vero che è facile cadere nella ragnatela del luogo comune o per dirla in termini più gergali, di fare di tutta un’erba un fascio, ma spesso è questo ciò che accade. Le ville dunque divengono i luoghi prediletti per attuare crimini all’apparenza semplici da gestire ma quello che non si arriva a comprendere è l’efferatezza di certi atti. Rubare in casa è un conto ma torturare e uccidere è un altro, per questo la Procura crede ci sia un legame più profondo tra l’omicidio del facoltoso farmacista e il crimine avvenuto sull’altra sponda del lago solo poche settimane prima. La Gallego usa un linguaggio elaborato e ricercato, tanto che viene da chiedersi se può nascere in maniera spontanea o se è studiato a tavolino. Il vocabolario utilizzato, spesso accademico, rende un po’ difficoltosa la lettura, soprattutto per chi è abituato a gialli con crimini e indagini risolte a fronte di un linguaggio più cameratesco e colloquiale. Nonostante questo i capitoli brevi e la buona descrizione dei personaggi rendono la storia quanto più credibile: sicuramente la Gallego ha grande padronanza della lingua italiana e degli ambienti giuridici di sua competenza, tanto che sfoggia con disinvoltura anche il lemma ‘famigliare’ come usava il Manzoni ma sempre meno utilizzato e rinnegato dal Rigutini: anche da qui si evince una certa ricercatezza linguistica, apprezzata sicuramente da coloro che amano leggere buoni romanzi che non risultino solo svago, ma un accrescimento della propria conoscenza sulla società in cui si vive. Se qualcuno si sta chiedendo chi sia il protagonista della storia non è possibile definirne uno con precisione, perché il team di questa procura definita imperfetta, a nostro avviso solo perché un fax non funziona, è la calamita di tutta la storia.
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