Quando ad Agatha Christie si chiedeva quale o quali fossero, tra i suoi romanzi, quelli preferiti, la regina del giallo rispondeva, destando una certa sorpresa, non con il titolo di uno dei suoi più celebri capolavori, come Dieci piccoli indiani, L’assassinio di Roger Ackroyd o Assassinio sull’Orient-Express (oggetto, quest’ultimo, di un fortunato adattamento cinematografico per la regia di Kenneth Branagh, che interpreta anche il ruolo di Hercule Poirot, ancora lo scorso anno). Citava invece due romanzi ritenuti minori: Le due verità ed È un problema.
E proprio da È un problema è stato tratto, sempre nel 2017, un lungometraggio girato da Gilles Paquet-Brenner, giovane regista già noto soprattutto per La chiave di Sara, che vinse premi di pubblico e critica al Festival Internazionale di Tokyo nel 2010. Si tratta del primo adattamento per il grande schermo del testo, datato 1949. Nonostante il così lusinghiero giudizio dell’autrice, il mistero si era infatti, fino all’anno scorso, allontanato dalla versione cartacea solo per un’incursione in radio, con quattro puntate da trenta minuti l’una, per il quarto canale della BBC.
La vicenda si apre con la morte improvvisa di Aristides Leonides: uomo anziano, potente e facoltoso. Si pensa a un infarto, ma senza troppa convinzione: striscianti sospetti si addensano attorno alla seconda moglie Brenda, molto più giovane del consorte, di cui si vociferano infedeltà coniugali e, anche per questo, molto poco amata dal resto dei familiari. Si arriva così all’autopsia, che mette la parola fine a ipocrisie e verità di comodo: avvelenamento da eserina, con ogni probabilità sostituita all’insulina in una delle iniezioni di cui il patriarca aveva regolarmente bisogno.
A questo punto non compaiono sulla scena Hercule Poirot o Miss Marple ma, più modestamente, Charles Hayward: un giovane che, trovandosi in Egitto alla fine della guerra, ha intrecciato una relazione con Sophia, nipote di Aristides. Quando l’apertura del testamento rivela che, attraverso una modifica molto recente, proprio Sophia è stata nominata unica erede, la ragazza si trova in difficoltà e gli chiede aiuto.
Si tratta di una classica crime story all’inglese, che per larghi tratti pare preferire, non di rado, lanciare una sorta di sfida al lettore piuttosto che concentrarsi sul realismo tout court della vicenda. Un giallo insomma, prima e più che un romanzo. Tuttavia, sia rispetto alle classiche, rarefatte atmosfere dell’alta società inglese che alla marcata evasione rappresentata dalla “trilogia esotica” (ovvero la terna di romanzi Poirot sul Nilo, La domatrice e Non c’è più scampo, tra i più celebri) si respira, intorno al delitto Leonides, un’aria sottilmente, ma inequivocabilmente diversa.
L’investigatore non è infallibile: anzi, non è neppure un vero e proprio detective. Sembra quasi di vedere cimentarsi, nei panni di Poirot, il capitano Hastings. Farà certo del suo meglio, ma finirà per imbattersi nella verità guidato dalle circostanze e non certo da un geniale intuito. E proprio per questo forse ci si scopre a partecipare dei suoi dubbi e delle sue ansie: non solo con curiosità intellettuale, ma con più vivido slancio. E così il racconto, lentamente, si trasforma. La verità, inusualmente amara, persino difficile da accettare, colpisce in conclusione come un pugno nello stomaco, a suggellare non solo un ottimo giallo, ma un libro che sa cambiare pelle. E farsi ricordare.
Recensione di Damiano Verda
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- Christie, Agatha (Autore)