Massimo Carlotto (Padova 1956) è uno scrittore, drammaturgo, giornalista, saggista, fumettista e sceneggiatore. Numerose sono state le sue opere e quasi tutte riprendono i temi forti a lui tanto cari come il crimine, le ingiustizie sociali, la gogna mediatica, la politica che l’hanno portato non solo ad essere pluripremiato (Premio Scerbanenco, finalista al Premio Bancarella, Premio Lama e Trama alla carriera…) ma anche ad essere definito uno dei migliori scrittori di noir e hard boiled a livello internazionale. Inizia la sua prolifica attività letteraria pubblicando nel 1995 Il fuggiasco, autobiografia romanzata. Nel 2001 esce il noir Arrivederci amore ciao (da cui viene tratto l’omonimo film di Michele Soavi del 2005). Il suo personaggio più noto è l’Alligatore, alias Marco Buratti, un originale detective privato che fa il suo esordio, tra le pagine firmate Carlotto, nel 1995 con La verità dell’Alligatore e prosegue, in forma seriale, fino al 2017 con l’ultimo delle dieci pubblicazioni che lo vede protagonista dal titolo Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane. Nel 2020 torna al romanzo con La signora del martedì (Edizioni E/O).
L’ultima sua fatica letteraria, pubblicata per Nero Rizzoli poche settimane fa, è E verrà un altro inverno ed è proprio quest’ultimo noir che, con grande onore, cari attenti e appassionati lettori del bancone di Thriller Café mi accingo a recensire per voi.
Bruno Manera, vedovo dell’adorata moglie Annabella, è un ricco cinquantenne che fa l’imprenditore immobiliare in una città del nord. Qui conosce Federica, trentacinquenne, unica erede (poiché il fratello è morto in un incidente stradale) della dinastia Pesenti ricchi imprenditori della valle limitrofa appartenenti ai “maggiorenti” cioè a quelle famiglie che detengono il potere economico e lo utilizzano per fare letteralmente “il bello e il cattivo tempo” di tutti e di tutto. Anche senza amore Federica sposerà Bruno perché questo matrimonio risulterà essere, agli occhi della famiglia, decisamente conveniente per dare una nuova svolta economica ai Pesenti che ultimamente, a causa di investimenti rivelatisi catastrofici in Indonesia, erano caduti in disgrazia. Federica impone però, fin da subito, al marito di ritornare a vivere in valle e Bruno, innamorato, l’accontenta. L’arrivo del forestiero fu all’inizio accolto dai paesani con benevolenza ma in seguito ad alcuni atti intimidatori che avevano il preciso scopo di fargli capire una volta per tutte che sarebbe rimasto in vita solo se avesse lasciato il paese per tornare in città, tutti incominciarono a non gradire più la sua presenza ritenendo che gli avvertimenti subiti dal povero Bruno fossero da collegarsi ad una sua eventuale collusione con la criminalità organizzata e con un suo probabile passato non troppo limpido. Poiché a dare manforte alle dicerie paesane ci mette del proprio anche il maresciallo Piscopo, che è un omone grezzo e dai modi decisamente poco leciti, l’unico che sembra essere dalla parte di Bruno Manera è la guardia giurata Manlio Giavazzi dipendente della Valle Securitas. Quest’ultimo, “un uomo anonimo che era diventato invisibile, integrato nell’arredo urbano come una panchina” inizierà, sia perché convinto che certe faccende vadano risolte tra paesani sia come rivalsa personale contro il nemico storico Piscopo che considerava la sua divisa come di serie B, ad atteggiarsi a “uomo della provvidenza” e a manovrare la situazione provocando un vero e proprio effetto domino.
Ma cosa succede quando anche i poveri diavoli si convincono che gli ostacoli al profitto e al tornaconto personale possono essere eliminati in qualunque modo e a qualunque costo?
A partire dal romanzo precedente, e cioè La signora del martedì, per poi proseguire in quest’ultimo straordinario noir Massimo Carlotto cambia focus e rivolge il suo sguardo, come sempre di attento osservatore della realtà, non più al mondo della criminalità organizzata ma al microcosmo della piccola delinquenza indagando nel profondo quali siano le molle scatenanti che possono portare alla deriva anche la gente comune, quella normale, la brava gente per intenderci. Secondo lui, e questo romanzo ne è testimonianza, queste molle vanno ricercate soprattutto nel fallimento personale, nella ricerca spasmodica di un riscatto sociale e nei condizionamenti dell’ambiente in cui viviamo.
Il vero personaggio di E verrà una altro inverno è la valle di una non ben definita zona del Nord Italia. Una valle chiusa dove ci sono tre paesi e un’unica strada provinciale che li unisce e dove i valligiani continuano a controllare la presenza dei TIR che transitano perché questo per loro significa benessere. All’interno si muovono una coralità di protagonisti, tutti mediocri, tutti parimenti falliti, tutti dominati e manovrati dai ”poteri forti” che in questo caso è rappresentato dai maggiorenti. Con il termine, che ha il sapore un po’ ottocentesco, di maggiorenti Carlotto vuole indicare quelle famiglie che, prima latifondisti ora imprenditori, continuano, perché passano gli inverni ma spesso nulla cambia, a detenere il potere economico, a tirare le fila di tutto quanto gira loro intorno e a pretendere riconoscenza perché è grazie a loro se in zona c’è lavoro. E così ritroviamo: i due cugini, Michi e Robi, che dopo aver perso il lavoro ritengono che per “campare la famiglia” e non cercare lavoro altrove diventando così pendolari, unica strada sia quella di accettare di far parte di quella manovalanza delinquenziale che per pochi euro compie piccoli atti criminali forti del fatto che siano solo ragazzate e che agli occhi di tutti rimarranno sempre brava gente e onesti lavoratori; il maresciallo Piscopo che, anche lui buonuomo, è, però, terrorizzato dal compiere passi falsi che porterebbero l’Arma a farlo trasferire; la guardia giurata Giavazzi, ossessionato dalla morte del figlio Adamo, che nel tentativo di rimettere le cose a posto e di fare il bene del paese darà il via alla costruzione di una vera e propria tela di ragno dove tutti, ma proprio tutti, ne rimarranno invischiati (d’altronde, a tal proposito, come non sottolineare l’esergo del libro che recita: “Sono la mano sinistra del caso. Sono silenzio che gela un saluto. Sono soccorso che arriva correndo, ma a tempo scaduto” in quanto tratto da “Tela di ragno” di Gianmaria Testa); e poi ancora una serie di altri personaggi, mai nessuno secondario, che hanno tutti un loro spessore e una loro importanza all’interno della trama noir.
Con una scrittura asciutta, priva di fronzoli inutili e distaccata il grande Carlotto ci confeziona un romanzo crudo e amaro ma che fondamentalmente è un’istantanea reale della società dei piccoli centri del Nord dove nulla è come sembra, nessuno è del tutto innocente perché segreti, mezze verità, intrallazzi vari ma soprattutto il fatto che tutti si conoscono, o credono di conoscersi, e che spesso utilizzano rivelazioni altrui per tenere in scacco le persone la fanno da padrone.
Grande Maestro… geniale!
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