Da poco edito da Longanesi, oggi al Thriller Café recensiamo il nuovo romanzo di Andreas Gruber, dal titolo Fiaba di morte.
Berna. Il cadavere di una donna fluttua nel vuoto, appeso a un ponte per i capelli. Quando il detective Rudolf Horowitz nota un misterioso segno sulla pelle della vittima, capisce subito che, per risolvere il caso, non potrà fare a meno dell’aiuto di Maarten S. Sneijder, il profiler olandese noto in tutta Europa per il suo talento. Affiancato dalla giovane collega ed ex-allieva Sabine Nemez, Sneijder individua subito inquietanti somiglianze tra il metodo dell’artefice dell’omicidio a Berna e quello dello spietato serial killer Piet van Loon, da lui arrestato anni prima dopo una estenuante caccia all’uomo. Ma, procedendo nelle indagini, l’assassino sembra essere sempre un passo avanti a loro. Nel frattempo, la giovane psicologa Hannah Norland arriva a Steinfels, un penitenziario psichiatrico nel nord della Germania, con il pretesto di dirigere sessioni di terapia di gruppo con i detenuti. Ma Hannah, in realtà, è interessata a un solo prigioniero, Piet van Loon.
Questa la sinossi di Fiaba di morte, che prosegue le vicende di Sentenza di morte (in realtà non è necessario aver letto il precedente per poter seguire le vicende del romanzo): Gruber, una decina di romanzi e molti volumi di racconti, conosce molto bene le regole del thriller, e costruisce una macchina narrativa con pochissime sbavature che riesce davvero a coinvolgere il lettore sino alla fine del romanzo.
Non è facile scrivere un buon thriller su un serial killer: troppo di moda il tema, il dualismo killer profiler è stato sfruttato dal cinema, dalla TV, da decine di romanzi, e dal Clarice Starling in avanti la figura del profiler è entrata nell’immaginario del pubblico quanto quella del medico legale. Eppure Gruber riesce nell’intento di appassionare il lettore grazie a una trama intrigante, personaggi ben costruiti e con tocchi di originalità, un ritmo sostenuto e costante: la vicenda si sviluppa in vari paesi europei ed è condensata in un arco temporale molto breve, scelta che conferisce alla narrazione un ritmo da romanzo americano mantenendo ambientazioni piacevolmente europee.
Il serial killer ha modus operandi diversi e la firma è apparentemente senza senso, ma nel prosieguo della vicenda tutto comincerà ad avere senso sorprendendo il lettore, che farebbe bene però ad aspettarsi fino alle ultime pagine dei colpi di scena e cambiamenti di prospettiva. I personaggi di Maarten S. Sneijder e Sabine Nemez sono ben delineati, e a questo proposito bisogna dare atto all’autore da un lato di aver costruito sul personaggio di Maarten S. Sneijder una vicenda personale e una fragilità inaspettata, dall’altro di non aver relegato un personaggio femminile interessante in un ruolo di spalla (anche se bisogna riconoscere che nella letteratura di cultura nordica questo avviene spesso, mentre nella cultura latina è molto meno frequente).
La scrittura è di agevole lettura, molto lineare anche se dettagliata: Gruber riesce inoltre a trasmettere i particolari dei singoli omicidi – e quando si capisce il legame che li unisce, questo sarà molto importante – senza però alcun compiacimento splatter, raccontando il necessario alla narrazione e non una goccia di sangue di più.
Nel complesso quindi Fiaba di morte fa lo stesso effetto di certe ottime serie TV , che vanno avanti per anni con un pubblico fedele come nel caso – tanto per citare un esempio noto – di Criminal Minds: non importa se si intuisce fin dall’inizio la struttura del racconto, non importa se si sono già visti decine di serial killer e altrettanti profiler, non importa quanti episodi si sono già visti. Quando alle spalle c’è una grande professionalità si resta inchiodati alla vicenda perché, in fin dei conti, ci sarà sempre qualche elemento di sorpresa, qualcosa di inaspettato che ci fa arrivare fino in fondo con grande soddisfazione.
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