Da giugno è disponibile in libreria “Fiore di roccia”, romanzo storico di Ilaria Tuti, edito da Longanesi, ambientato nella prima guerra mondiale. L’autrice – che è un’estimatrice di Stephen King, Donato Carrisi e Alda Merini – è stata in passato anche una collaboratrice di Thriller Café. Friulana classe 1976, dottoressa in Economia e Commercio, è appassionata di scrittura creativa ma anche illustratrice per le edizioni Nero Press ed ex amministratrice del sito Abaluth, per il quale creava cover di e-book. Il suo primo esordio risale in realtà al 2012 con un romanzo di genere young-adult dal sapore fantascientifico, pubblicato dalla Montag Edizioni ma non più reperibile in commercio. La vera carriera letteraria della Tuti nasce però soprattutto scrivendo racconti, che spaziano dal noir al fantasy, dalla fantascienza all’horror. Alcuni di essi vengono molto apprezzati nel web, su siti e forum di scrittura, vincono dei contest online oppure approdano su riviste di settore. Di particolare rilievo sono – ad esempio – alcuni racconti lunghi pubblicati per la Delos Digital, nelle collana The Tube (come “Ceneri”; “Nido di Carne”; “Caccia all’uomo”) e nella collana “Chew” (come “Cerberus”; “Egemona”; “Profondo Alpha”). Nel 2014 è sua la firma in calce al racconto La bambina pagana, che si afferma come vincitore del prestigioso premio Gran Giallo città di Cattolica. La Tuti scrive anche dei racconti per i Gialli Mondadori, finché nel 2018 entra nella scuderia Longanesi con Fiori sopra l’inferno, un romanzo thriller dalle tinte molto gialle che vede protagonista la non più giovanissima profiler Teresa Battaglia, le cui indagini proseguono l’anno successivo nel romanzo Ninfa dormiente. Giungiamo così ai nostri giorni, al giugno 2020, quando esce questo Fiore di roccia, che ci apprestiamo a recensire. Nonostante il titolo faccia di nuovo esplicito richiamo ai fiori, stavolta ci troviamo di fronte a un lavoro differente dai precedenti, forse più maturo, in cui la fiction si compenetra con il romanzo storico e finisce per raccontarci una vicenda di grande coraggio, ancora poco conosciuta, che ha il sapore di una preziosa testimonianza del passato.
La vicenda è infatti ispirata alla vera storia delle portatrici carniche, donne forti e coraggiose che operavano lungo il freddo e ostico fronte delle Alpi friulane (nella regione della Carnia), sulle cui vette – durante la Grande Guerra – erano schierate le nostre linee difensive: trentuno battaglioni che dovevano fronteggiare gli austriaci. Sui monti attorno a Timau i cannoni sparavano davvero: era il diavolo che si schiariva la gola, aveva detto una di loro una di loro sgranando il rosario, nel tentativo di esorcizzare la paura. Con gli scarpetz ai piedi (per non farsi sentire dai soldati nemici) e le gerle sulle larghe spalle, queste donne fungevano da vera e propria retrovia del nostro esercito. Da Timau e dagli altri paesi della valle caricavano quaranta chili tra lettere, vestiario, viveri, medicinali e munizioni, per trasportarli fino ai soldati impegnati al fronte, fino a 1.800 metri di altitudine, fin dentro le trincee fangose e innevate, facendo slalom tra le granate nemiche e affrontando i cecchini austriaci, i famigerati “diavoli bianchi” (che però, in fondo, sono “solo uomini che hanno fame e nostalgia di casa, e che devono uccidere, come i nostri”).
Agata Primus ha solo vent’anni; deve badare a suo padre malato mentre i morsi della fame si fanno sentire, ogni giorno più forti. Ma lei è allenata alla vita dura e alla solitudine, non si lamenta, dimostra invece resilienza e grande dignità nell’assolvere quelli che considera i suoi doveri: “Questa guerra mi ha tolto tutto, lasciandomi solo la paura. Mi ha tolto il tempo di prendermi cura di mio padre malato, il tempo di leggere i libri che riempiono la mia casa. Mi ha tolto il futuro, soffocandomi in un presente di povertà e terrore. Ma lassù hanno bisogno di me, di noi, e noi rispondiamo”.
Agata si dimostra così – a suo modo – una fiera combattente, al pari degli uomini in divisa, una portatrice orgogliosa che riesce a guadagnarsi il rispetto e poi l’amicizia del medico militare Janes e del capitano Colman (in un contesto e in un periodo storico in cui la figura della donna è distante anni luce dall’ottenere simili riconoscimenti).
Circa sessant’anni dopo la fine delle ostilità, nel 1976, Agata tornerà in quelle montagne ritrovandole popolate dai fantasmi della guerra, come quello di Maria Plozner Mentil, una portatrice carnica (medaglia d’oro al valor militare) uccisa da un cecchino nel febbraio del 1916. Ritroverà il suo Friuli squarciato dal terremoto: “L’Orcolat, lo avevano già ribattezzato i figli della terra schiantata in macerie: l’orco che secondo la leggenda viveva in quei recessi di pietra si era risvegliato, scrollandosi di dosso l’umanità”.
Oggi quelle vette si possono ammirare e visitare seguendo i “Sentieri della Memoria”, dove le portatrici assolsero eroicamente al loro compito, e dove Ilaria Tuti deve aver preso ispirazione per scrivere questo interessante libro.
È un romanzo duro, come deve essere un romanzo storico ambientato nella povertà montana di quegli anni, durante la guerra. Un testo in cui ogni parola – lungi dall’essere didascalica o superflua – ha un suo peso specifico. Una storia intensa, a tratti epica e commovente, che scivola via grazie a una scrittura magnetica, evocativa, al tempo stesso graffiante e poetica, in cui l’azione viene sapientemente amalgamata dall’introspezione profonda dei personaggi, all’interno di una vicenda complessa e cruda che viene però raccontata attraverso la delicatezza di uno sguardo femminile. Vi toccherà leggerlo voi stessi, per capire se questo romanzo riuscirà (o meno) laddove ogni grande romanzo riesce: nel lasciarvi dentro un piccolo – fosse anche microscopico – segno permanente.
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