A distanza di un anno dall’ultimo romanzo, Nozze, è uscito il 1° dicembre scorso per Einaudi Fiori per i Bastardi di Pizzofalcone, l’undicesimo giallo della nota serie scritta da Maurizio De Giovanni e ambientata a Napoli.
A Pizzofalcone è primavera. Il profumo inebriante dei fiori riempie l’aria e i loro colori inondano le strade. Fino a ieri, in tanti andavano a comprarli allo storico chiosco di Savio, per ravvivare la loro casa, ma anche solo per scambiare un sorriso e una parola con quell’uomo così gentile con tutti. Perché Savio Niola lo conoscevano tutti nel quartiere, lui era così, sempre presente ed attento con i giovani di cui era un nonno putativo, sempre disponibile per un aiuto anche economico, una brava persona su cui fare affidamento, insomma. Tutte qualità che lo rendevano amato dagli abitanti di Pizzofalcone che l’avevano eletto a fiorista di fiducia… fino a ieri, però, perché oggi Savio è stato ammazzato, massacrato con rabbia. Chi potrebbe mai aver voluto la sua morte? Sarà forse qualcuno nel giro del racket contro cui Savio si era esposto per proteggere altri commercianti come lui? O sarà stato qualcun altro? Così sembra pensarla chi indaga. L’indagine è affidata alla squadra di Lojacono, ai Bastardi di Pizzofalcone, che quel quartiere ormai lo conoscono bene. Un caso delicato, quello di Savio Niola, un caso che va oltre il lavoro… ma d’altronde, ormai, per i Bastardi non è sempre così?
Quest’apprezzata serie ambientata nel commissariato di Pizzofalcone, lo ricordiamo per chi non l’avesse ancora iniziata e volesse avvicinarvisi, è composta da undici (per ora) romanzi: il primo è Il metodo del coccodrillo (2012), poi I Bastardi di Pizzofalcone, Buio per i Bastardi di Pizzofalcone, Gelo, Cuccioli, Pane, Vita quotidiana dei Bastardi di Pizzofalcone, Souvenir, Vuoto, Nozze e quest’ultimo, Fiori.
Oltre ai Bastardi e a svariati racconti e romanzi singoli, Maurizio De Giovanni è anche autore dell’altrettanto nota serie Il commissario Ricciardi – ambientata nella Napoli degli anni 30 –, della serie con Sara Morozzi e di quella con Mina Settembre. Tutte serie fra loro molto diverse che confermano la fama di De Giovanni quale scrittore eclettico, attento alle evoluzioni della società e capace di rappresentarle con stili, modi e toni diversi.
Sapendo di fare cosa gradita, vi lasciamo qui l’incipit del romanzo che fa veramente venir voglia di primavera.
Prima di morire, dovreste regalarvi un giorno di primavera a Pizzofalcone.
L’ideale sarebbe il primo, perché gustereste per intero il passaggio di testimone dall’inverno; l’attimo in cui l’aria acquista una vena di dolcezza, un retrogusto appena percettibile di altri profumi, e qualche suono che ancora non c’era e adesso giunge alle orecchie tese all’ascolto.
Ma è impossibile da prevedere, la primavera non manda gioiose partecipazioni della propria venuta per posta o con un messaggio in chat, corredato di fiorellini e note musicali che facciano pensare a una marcetta allegra. E la gente nemmeno se ne accorge, presa com’è a combattere la quotidiana battaglia per la sopravvivenza, perché si sa, Pizzofalcone è un posto articolato e sedimentario dove a pochi metri da chi naviga in un’immeritata ricchezza ci sono quelli che devono trovare il modo, qualsiasi modo, di dare da mangiare ai figli, e di arrivare vivi e vegeti all’indomani nella giungla urbana in cui il quartiere è incastonato come una pacchiana e mal tagliata pietra preziosa.
Non potrete individuare il primo giorno di primavera, è chiaro. Quindi è difficile che il nuovo vento giri e vi colga pronti ad apprezzarne i contenuti sensoriali che, senza motivo, vi disporranno al buonumore, perché ci si potrà disfare delle coperte e non si guarderà piú con fastidio e preoccupazione agli spifferi penetrati dalla finestra che non chiude bene, o con frammenti di odio a chi esce lasciando la porta aperta. Perché tra non molto, sapete, l’aria inaspettata che giunge sotto forma di corrente non sarà piú una minaccia alla salute, ma un lieve stimolo a uscire e a guardare il mondo in faccia.
La primavera a Pizzofalcone, per l’impossibilità di essere colta nel lieto giorno della sua rinascita, andrà dunque gustata nel suo corso. Non nelle prime ore forse, però di certo in quelle successive: quando avrà assunto il fascino della consapevolezza, avrà perso le incertezze e si proporrà florida e bella come una giovane donna abituata ai complimenti, che si finge disturbata da occhiate e mormorii e fischi dei ragazzi ma che soffrirebbe a non riscuoterne piú, e quindi cammina baldanzosa e veloce, gli splendidi seni e le lunghe gambe a muoversi seguendo una danza muta ma udibile come una fanfara.
È diversa dalle altre primavere, quella di Pizzofalcone. Perché il quartiere è uguale a tutti gli altri e differente al tempo stesso. È una collina, ha la sua sommità e i suoi pendii che le vie strette e gli alti palazzi antichi hanno cercato di nascondere, e che sono tuttavia visibili e sensati, in direzione del mare o dell’angusta strada dei negozi che aprono e chiudono nel volgere di due stagioni, o della grande piazza monumentale e semideserta; è una collina, perciò il vento colpisce o accarezza, sibila o sussurra, rinfresca o riscalda a seconda del punto dove vi collocherete ad ascoltare la primavera, in alto, a mezza strada o a valle. Ed è abilissimo a disorientarvi, Pizzofalcone, perché proporrà una curva, poi un’altra e un’altra ancora, in maniera da costringervi a dimenticare la direzione che stavate percorrendo, e rassegnati passeggerete incerti e comunque ammirati dai muri scrostati e dai portoni immensi, che talvolta si aprono su meravigliosi giardini incolti.
Rinunciate a una meta, se siete a Pizzofalcone in primavera. Diventate sensoriali, andate a vela. Affidatevi alla pelle, alle orecchie, al naso. Scoprirete il glicine in fioritura, sul muro borbonico all’inizio del viale, di fronte all’oratorio vecchio. Compare mescolandosi all’edera che non se n’è mai andata, a presidio della posizione anche durante il freddo e la stagione delle finestre sbarrate e del silenzio, in guerra contro le raffiche di tramontana; e adesso i grappoli viola sembrano un premio alla costanza, per aver coperto le scanalature nel piperno che un tempo facevano da rastrelliere ai moschetti.
L’odore del glicine, se vi affidate, vi porta a quello della ginestra selvatica del monte Echia, l’origine di tutto, il punto da cui i fondatori si guardarono attorno, duemilacinquecento anni fa e piú; sarà la primavera, se l’ascoltate, a spiegarvi il perché di quel brulicante purgatorio che vi circonda a perdita d’occhio. Perché sarà lí che vi assalirà l’azzurro, come un’ondata fisica e sonora, cosí bello e traboccante da costringere pure voi a guardarvi attorno con un mezzo sorriso, chissà chi è che mi ha fatto questo scherzo, penserete, impossibile che una cosa cosí bella sia vera, e che non ci siano schiere di turisti assorti in silenzio a osservare a bocca aperta, di certo qualcuno ha allestito una scena, sarà un effetto speciale.
E la primavera insofferente vi porterà via, tirandovi per la manica come una ragazza superficiale e capricciosa, perché non è solo il mare e il cielo che ha da proporre in uno dei suoi primi giorni di bellezza, non è solo quel colore intenso e disperato che ha sostituito le sfumature grigie dell’inverno. La primavera ha l’ansia di farvi immergere di nuovo nelle stradine e nei vicoli che scendono verso la città, accompagnati dal canto degli uccelli che non credevate di ascoltare a cosí poca distanza dalla cacofonia dissonante delle lamiere urlanti, e dai gabbiani che vanno e vengono dall’acqua torbida poco distante.
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- Autore: Maurizio De Giovanni
Articolo protocollato da Rossella Lazzari
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