Una delle migliori novità di questo inizio 2018, recensiamo oggi Fiori sopra l’inferno, romanzo di Ilaria Tuti edito da Longanesi.

Nei boschi innevati di Travenì, paesino delle montagne friulane, viene ritrovato il cadavere di un uomo; non ha più gli occhi e poco vicino l’assassino ha preparato un fantoccio coi vestiti della vittima; due dettagli macabri che lasciano supporre non si tratti di un omicidio comune. In un paesaggio stupendo, di una bellezza ancestrale minacciata dall’intrusione dell’uomo (le foreste rischiano di lasciare il posto agli impianti sciistici) il commissario Teresa Battaglia dirige le indagini, affiancata dalla sua squadra cui si è appena aggiunto l’ispettore Massimo Marini. Diciamo spesso che in questo genere di romanzi il luogo d’ambientazione è uno dei protagonisti: per Tuti questo è evidente, la montagna che accoglie la storia è vivida e onnipresente nelle sue pagine.

Il personaggio principale è una donna intelligente, sensibile ma razionale sul lavoro, dove dimostra fermezza e talvolta eccessiva durezza. È diretta. “Insopportabile e determinata”, secondo le parole di Marini, che si ritrova ad affrontare contemporaneamente un caso davvero duro e le difficoltà nell’ambientarsi in un nuovo posto di lavoro, con un capo che fa di tutto per metterti a disagio.

Intanto c’è agitazione anche tra un gruppo di bambini del villaggio: tra i boschi nei quali sono soliti incontrarsi si aggira un fantasma, un essere sfuggente, misterioso e spaventoso; il volto è un teschio, la brutalità quella di un animale. Ma qualcosa non torna: il killer è ambiguo, contraddittorio; molto organizzato, sembra avere momenti di raptus; dimostra una violenza inaudita, ma forse non vuole uccidere.

Era uno di quei momenti in cui Teresa si chiedeva come facesse ad amare il suo lavoro: era un punto di osservazione scomodo sull’animo umano e sulle crudeltà di cui era capace. Non capiva perché la gente temesse la morte e non la vita. Vivere era un atto feroce, una lotta fratricida che lasciava sempre qualche morto sul campo.

Teresa è una profiler. Come spiega allo scettico Massimo, la criminologia non è una scienza esatta, ma studiare la mente dei criminali è fondamentale per capirne il funzionamento e sapere come cercare il prossimo killer e come confrontarsi con lui. Li chiamano mostri, ma Battaglia sa che c’è qualcosa di loro in ognuno di noi, un’oscurità che fuoriesce quando si è vittime di traumi. Gli assassini seriali sono “condannati a cibarsi dell’unica cosa in grado di calmare per un po’ la fame violenta che li attanaglia. Il potere assoluto su di un altro essere umano”.

«Forse loro vedono il mondo meglio di noi» disse, in un sussurro. «Vedono l’inferno che abbiamo sotto i piedi, mentre noi contempliamo i fiori che crescono sul terreno».

La passione della protagonista per gli abissi della mente umana è contagiosa e rinverdisce il sempre affascinante filone psicologico; esso è la colonna vertebrale del libro, però Tuti è brava ad inserire anche la questione della costruzione dell’impianto sciistico e dei conseguenti problemi del territorio, una tematica da “noir sociale” che mischia abilmente le carte. La scrittrice alterna la trama ambientata ai giorni nostri con la storia di uno strano edificio, tra i monti austriaci, conosciuto come la Scuola, dove nel 1978 una suora custodisce un macabro segreto destinato a sconvolgere il mondo esterno.

Proprio nei giorni dell’indagine, complicata dall’ostilità degli abitanti di Travenì nei confronti dei forestieri e dal dolore passato che i delitti rievocano nel commissario, Battaglia deve confrontarsi anche con un altro problema, personale e spaventoso: le capita di avere momenti di blackout nei quali perde completamente la memoria, scordandosi i nomi delle cose e non riconoscendo più le persone che la circondano. È l’inizio della fine? Come potrà fare la poliziotta se le sue condizioni dovessero peggiorare?

La vita faceva paura, a guardarla in faccia per quello che davvero poteva essere, ma restava sacra, inviolabile, un’avventura straordinaria che andava affrontata con il cuore a mille e un senso del meraviglioso che non poteva spegnersi nemmeno di fronte al dolore più straziante.

Ilaria Tuti, che per Thriller Café ha scritto diverse recensioni, usa gli ingredienti tradizionali del genere (l’incipit col ritrovamento di un cadavere, un ispettore trasferitosi da poco, forse per fuggire da qualcosa, il passato che ritorna a tormentare) e ne ricava un romanzo d’esordio originale, sostenuto da una grande padronanza descrittiva, avvolgente, e da un lessico ricco.

Fiori sopra l’inferno ha uno sponsor d’eccezione, il maestro del thriller Donato Carrisi. E leggendo questo romanzo si capisce bene il perché: un serial killer, una profiler, atmosfere inquietanti, il fascino del male, tutti elementi cari allo scrittore pugliese. Ma non pensate che Tuti sia solo un epigono dell’autore del Suggeritore: la scrittrice ha stoffa da vendere e spero proprio che questo sia solo il primo di tanti suoi libri.

 

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Articolo protocollato da Nicola Campostori

Laureato in Scienze dello Spettacolo, vive nella Brianza tossica. Attualmente lo puoi trovare in biblioteca, da entrambe le parti del bancone. Collabora con "Circo e dintorni". Ama il teatro, e Batman. Ha recitato, a volte canta, spesso scrive, quasi sempre legge. Nutre i suoi dubbi, ed infatti crescono bene.

Nicola Campostori ha scritto 76 articoli:

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