Lo svedese Håkan Nesser scrive romanzi gialli-polizieschi da quasi trent’anni. Una delle sue serie di successo ha come protagonista il commissario Van Veeteren, l’altra l’ispettore di origini italiane Gunnar Barbarotti. Nel 2000 Nesser ha vinto con “Carambole” il premio “Glasnyckeln” per il miglior romanzo poliziesco scandinavo. Da allora la tv svedese ha prodotto numerosi film basati sui casi del commissario Van Veeteren. Nel 2018 è stata realizzata una trasposizione cinematografica della trilogia “Intrigo” pubblicata nel 2015 (“La morte di uno scrittore”; “La nemica del cuore”; “Alois” – quest’ultimo ancora non tradotto in italiano). Tutti i suoi libri sono pubblicati in Italia da Guanda, e tradotti da Carmen Giorgetti Cima (la stessa traduttrice della famosa trilogia “Millennium” di Stieg Larsson). Così è anche per l’ultimo romanzo di Nesser, uscito in Italia il 10 settembre 2020 col titolo “Gli occhi dell’assassino”, che qui recensiamo. Si tratta di oltre cinquecento pagine di letteratura gialla-noir nordeuropea, collocate da Guanda nella collana “Narratori della fenice”.
Il nostro protagonista si chiama Leon Berger. È un quarantaquattrenne docente di svedese e di storia a Stoccolma. Si sta però trasferendo in una piccola cittadina di periferia nota solo per ospitare un carcere di massima sicurezza, nell’entroterra del Norrland centrale. L’ospedale, l’aeroporto e la stazione si trovano a quarantacinque chilometri di distanza.
“Che cosa ci faccio qui? pensai. Perché me ne sto su un balcone in cemento dimenticato da Dio vicino al sessantatreesimo parallelo? Dovrei almeno riprendere a fumare.”
Il drastico cambiamento è dovuto a un tragico incidente: “il traghetto era naufragato in una tempesta fra Dar es Salaam e Zanzibar. Dei duecentonovanta passeggeri trentasei si erano salvati”, ma purtroppo tra questi non c’erano né sua moglie Hanna né sua figlia Judith.
Nella nuova struttura, la “Bergtunaskolan”, Berger va ad occupare un posto rimasto vacante dopo la misteriosa morte dell’eccentrico professor Kallmann. Non molto tempo dopo, il Nostro trova dei diari scritti dal defunto professore, dai quali emerge che in quel paesino doveva vivere un oscuro assassino, sempre rimasto impunito. Spinto dalla curiosità Leon Berger si fa aiutare da due amici per esaminare a fondo le inquietanti annotazioni del professore, cercando di scoprire se nel passato di quel luogo ci siano davvero degli omicidi irrisolti.
Non è la prima volta che Håkan Nesser dimostra di trovarsi a proprio agio nel narrare storie ambientate su più piani temporali, nei quali l’autore può raccordare passato e presente, creando intrecci e giochi di specchi che affascinano e danno respiro alla classica struttura di una letteratura di genere.
A proposito di “genere” passati circa quindici anni da quando il giallo scandinavo si è imposto nel mercato italiano (e in quello mondiale) con le proprie peculiari caratteristiche: detective antieroici e problematici; protagonisti più nostalgici e riflessivi rispetto ai loro corrispettivi americani in stile “hard-boiled”; ritmi lenti; atmosfere cupe; denuncia sociale e decadimento contemporaneo; oculata alternanza fra grandi eventi e quotidianità, fra paesaggi sconfinati o panorami a perdita d’occhio da un lato, e microscopici dettagli in cui si annida l’intima indagine sull’animo umano dall’altro.
Se i precursori di questo genere furono Maj Sjöwall, e Per Wahlöö (pubblicati in Italia da Garzanti e Sellerio), e poi il danese Peter Høeg e lo svedese Henning Mankell (rispettivamente Mondadori e Marsilio), è soltanto dopo il successo di Marsilio con Stieg Larsson (ma poi anche con Camilla Läckberg e Liza Marklund), che numerosi editori italiani hanno cavalcato l’onda cercando di accaparrarsi le opere dei “nordici” più talentuosi: Jo Nesbø, Anne Holt, Roslund & Hellström (Einaudi), Lars Kepler (Longanesi), Jens Lapidus (Mondadori), Dan Turèll, Anders Bodelsen e Gunnar Staalesen (Iperborea), e appunto Håkan Nesser (Guanda).
Se oggi l’onda (o meglio lo tsunami) del “giallo nordico” sembra già alle spalle, è pur vero che passando ha prodotto degli autori di indubbio valore la cui letteratura intende continuare a mantenere un suo meritato posto sul mercato internazionale.
Uno di questi autori è Nesser. Al di là comunque del genere e di qualche cliché (la perdita dei propri cari, il trasferimento, i diari dal passato), e oltre alle ambientazioni nord-europee che contribuiscono alla cupezza della trama, va detto che “Gli occhi dell’assassino” è soprattutto – come ogni buon romanzo che si rispetti – un romanzo di personaggi, nel quale cioè i protagonisti che animano la storia sono sviluppati in modo profondo, equilibrato e credibile; si muovono nei chiaroscuri della contrapposizione vizi/virtù, bene/male che caratterizza l’essenza del genere umano. L’autore esprime una narrazione capace di mettere a nudo l’umanità dei suoi personaggi, e lo fa attraverso una scrittura che esula dai dettami del puro thriller e si palesa invece come abbastanza classica, perfino leggera, delicata e dilatata.
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