Su Thriller Café oggi la recensione a Gli sbirri hanno sempre ragione di André Héléna. Romanzo pubblicato in Italia nel 2009 da Aìsara, si tratta dell’opera d’esordio dello scrittore francese e dell’ottava edita nel nostro paese dopo la sua riscoperta avvenuta nel 2008 con Il gusto del sangue (l’ultimo libro per ora tradotto è Il bacio della vedova). Un ottimo romanzo che vi consigliamo di leggere…
Titolo : Gli sbirri hanno sempre ragione
Autore: André Héléna
Editore: Aìsara
Anno di pubblicazione: 2009
Pagine: 175
Trama in sintesi:
Théophraste Renard, per gli amici Bob, è appena uscito di galera dopo aver scontato una pena per furto con scasso. Stanco di vivere come un delinquente cerca un lavoro e sogna una vita tranquilla ma reinserirsi nella società per lui è quasi impossibile. Prima alloggia in un bordello clandestino, fa girare la testa a una prostituta, diventa gigolò di una cinquantenne insaziabile, poi finalmente riesce a trovare un lavoro onesto, ma all’improvviso le cose si complicano. Forse perché quel divieto di soggiorno che si porta appresso è per lui come una seconda condanna, o forse perché lo Stato non è altro che un’organizzazione repressiva, gli sbirri degli aguzzini, e un pregiudicato, in quanto “capace del fatto”, è per tutti colpevole.
La Francia di inizio secolo scorso non sembra essere un luogo di redenzione, stando a Andrè Helena e al suo Gli sbirri hanno sempre ragione.
Theophraste Renard esce di prigione dopo aver scontato la sua pena, ma agli occhi della nazione continua ad essere un delinquente, e tale sarà per tutta la vita. Il libretto antropometrico che la legge lo costringe a portarsi sempre appresso, dove è segnato il suo passato da carcerato, è una sorta di lettera scarlatta che lo marchia come reietto, la garanzia che nessuno gli darà mai una seconda occasione. Nessuno assume un ex galeotto, nemmeno in nero, nemmeno per pochi franchi. A causa di un divieto di soggiorno Renard non può nemmeno rientrare a Parigi, la città dove più di ogni altra è possibile trovare qualcuno disposto ad offrirti una seconda occasione. Ma Renard non è tipo da arrendersi. Vuole rifarsi una vita, e incurante del divieto di soggiorno si stabilisce a Parigi, ospite dapprima di un amico tenutario di un bordello dove conosce e fa innamorare di sé una prostituta, e poi come mantenuto presso una donna di mezza età ancora presa dalle voglie giovanili.
E’ ostinato, e grazie alla sua pervicacia trova un’occupazione; un lavoro miserabile che però gli sembra una fortuna, il punto di partenza per ritornare ad essere un uomo. Poi si innamora, e cosa può esserci di più bello per qualcuno in cerca di riscatto che innamorarsi a Parigi?
Dunque un lavoro, un po’ di soldi, una donna, alcuni timidi progetti sul tavolo del futuro. La ruota che improvvisamente sembra essersi messa a girare per il verso giusto.
Ma la redenzione non è materia per gli ultimi, e quando le cose sembrano andar bene ecco che la lunga mano della giustizia tira a fondo chi cerca di rimanere a galla. La società in cui si muove Renard non ha pietà per chi cerca di pagare i propri debiti: essi saranno sempre dei peccatori, dei rifiuti umani per i quali è sufficiente il sospetto, l’astratta possibilità di delinquere, perchè le porte della galera si riaprano come fauci, leste ad inghiottire i bocconi più indifesi.
Helena racconta una Francia che ha vissuto in prima persona; lui stesso incappato in guai giudiziari, sperimentò sulla propria pelle la disgrazia del marchio a vita, il sigillo impossibile da cancellare del delinquente. Come un novello Jean Valjean, Helena/Renard è un uomo che ha sbagliato e a cui la società si rifiuta di offrire un’opportunità di redenzione: miserabile una volta, miserabile per sempre. Ma se nel libro di Hugo il protagonista risale la china, nella storia di Helena non c’è spazio per giorni migliori. Ricadere nell’abisso è un attimo, e il peggio che può capitare è finire nelle grinfie della polizia, veri e propri carnefici autorizzati, o alla meglio tollerati, dalle autorità francesi.
Quello che Helena descrive è un vero e proprio stato di polizia, dove gli sbirri estorcono con la tortura qualsiasi confessione, dove grazie a un cavillo riescono a tenerti in galera, pur senza condanna, per giorni e giorni. Una luogo ed un tempo che sembrano medioevo, ed invece sono la Francia del secondo dopoguerra, dove anche l’astratta capacità di un fatto di reato è prova sufficiente, per un pregiudicato che ha la disgrazia di ripiombare nei tribunali, per fondare una nuova e pesante condanna.
Ma Andrè Helena non è solo un testimone autentico di un periodo storico, ma un narratore di razza che arriva al noir con naturalezza, semplicemente seguendo l’istinto e la voglia di raccontare la sua storia e quella di tanti altri come lui incontrati lungo il cammino. La sua scrittura scorre come acqua corrente, mai appesantita da digressioni inutili, ma pulita e limpida. Il suo stile è scarno e per niente barocco, eppure mai povero; scivola anzi a volte in prove di pura poesia, ma quella poesia delle piccole cose, della realtà sudicia e opprimente, dove è ancora più difficile scovare quel barlume di bellezza che illumini di una luce diversa, originale. Helena riesce in questo con una facilità disarmante, giocando tra i vari registri con fluidità, senza mai dare l’impressione di stridere.
Gli sbirri hanno sempre ragione è il primo titolo dato alle stampe, a cui sono poi seguiti una quantità impressionante di romanzi (circa duecento) in cui l’autore, assimilando la lezione dei polizieschi americani, reinterpreta in salsa francese il genere noir, diventando un punto di riferimento del genere.
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