La recensione di Thriller Café al corposo Romanzo nero del noto autore Giuseppe Genna, prosegue quest’oggi con Grande Madre Rossa, vale a dire il quarto dei cinque romanzi polizieschi/thriller/noir che compongono la raccolta griffata Mondadori. Pubblicato per la prima volta nel 2004, questa nera spy story (che potrebbe definirsi anche un thriller visionario e apocalittico) si apre in modo esplosivo, con un evento terroristico catastrofico: una deflagrazione dilania il Palazzo di Giustizia, avvolgendo Milano in una nube bianca di marmo sgretolato. Il boato si ode a chilometri di distanza. La cittadinanza, presa dal panico, si riversa nelle strade. Le vittime si contano a centinaia, ma oltre alla devastante perdita di vite umane c’è un altro elemento di cui bisogna tenere conto. Infatti nell’inferno delle macerie del Palazzo di Giustizia si cela lo Schedario, un intero archivio di documenti che riguardano decenni di indagini della magistratura su importanti fatti di cronaca, politica, stragi, segreti di stato. Lo Schedario potrebbe far gola a molti potenti e potrebbe aprire porte dietro cui si celano verità scomode e scabrose. Sono centinaia di dossier e documenti riservati su cui da tempo stavano lavorando i magistrati ambrosiani. Per una faccenda così delicata viene istituita un’unità di crisi, una task force internazionale fatta di investigatori italiani e stranieri, servizi segreti, militari e uomini dell’antiterrorismo. L’ispettore Guido Lopez (forse poco caratterizzato in quest’opera, ma che conosciamo bene dai romanzi precedenti), nel momento dell’esplosione stava giocando a tennis nella lontana via Mecenate. È proprio lui che viene identificato come il candidato ideale a cui affidare una rogna del genere. L’ispettore ha infatti sospeso la sua attività con l’agenzia investigativa europea, è quindi un “cane sciolto” che conosce il posto e ha una certa esperienza con incarichi del genere. L’indagine è concitata, prende corpo sotto la pressione e la frenesia del momento. Tutti gli occhi sono puntati su questo caso, quindi si deve apparire – meglio ancora essere – solerti e risolutivi. Sulle prime viene vagliata la pista più ovvia; quella del terrorismo islamico. Non si può escludere, ma Lopez ha un’idea diversa. Alcuni indizi lo portano infatti a sospettare di un progetto eversivo chiamato “Grande Madre Rossa”, il cui scopo è destabilizzare il mondo occidentale. Dietro questa organizzazione ci sarebbe nientemeno che la famigerata terrorista Ulrike Marie Meihof, a capo della Rote Armee Fraktion, (R.A.F.), un pericoloso gruppo eversivo tedesco di estrema sinistra meglio noto come la “Banda Baader-Meinhof”. Viene allora da chiedersi come potrà uno Stato corrotto e farraginoso reagire in modo adeguato di fronte a un’ideologia feroce e nichilista.
Genna ci ha già abituato, all’interno della fiction, sia a travalicare la mera narrativa di genere (utilizzata per veicolare messaggi di spessore più alto), sia all’inserimento di importanti riferimenti storici e personaggi reali, così come a ricostruzioni immaginarie sì, ma abbastanza plausibili da poter parlare di una sorta di distopia politica. Mai come in questo caso la potenza distruttiva del prologo (e tutto ciò che ne consegue) potrebbe considerarsi in modo simbolico come potenza generatrice di un nuovo brodo primordiale per una società rigenerata, un migliore avvenire che scaturisce in modo ideale dalle ceneri del precedente. Se da questo punto di vista Grande Madre Rossa non costituisce un’eccezione quanto una felice riconferma, è invece dal punto di vista stilistico che questo romanzo ci sembra presenti delle peculiarità rispetto alla prosa a cui l’autore ci ha abituato. Lo stile narrativo ci è parso infatti dotato – al solito – di grande ritmo, ma più sincopato e nervoso del solito, caratterizzato da un certo predominio di frasi brevi e punteggiatura insistente, in linea (ma forse oltre) con i concitati e ansiogeni accadimenti che vengono narrati. Quasi che una stessa bomba avesse polverizzato insieme al Palazzo di Giustizia anche la narrazione di Genna, e poi avesse avvolto quei frammenti narrativi in una nube corrosiva simile a quella che intossica da decenni la giustizia italiana, dove non tutto è così limpido da meritare una prosa bonaria o discorsiva. Siamo dunque in presenza di una scelta coraggiosa – da parte dell’autore – che non si concede molto alle esigenze commerciali, e che potrebbe risultare attrattiva o respingente, ma che è senza dubbio studiata e ponderata per uno scopo, non certo esibita per caso o per capriccio. Scelta esigente che forse richiede al lettore qualche istante in più per prendere le misure, ma che un autore come Genna può permettersi poiché la platea cui si rivolge è fatta per lo più di lettori attivi e partecipi, adeguatamente acculturati. Rimane intatta la capacità dell’autore di farci assaporare i tratti distintivi e caratterizzanti di un Paese (l’Italia di quegli anni) nei suoi limiti e nelle sue contraddizioni. Infine una curiosità: il romanzo ha anche un “capitolo fantasma” scaricabile dal sito dello scrittore (giugenna.com), nel quale si riconoscono personaggi di spicco della vita sociale e politica italiana, in particolare l’affarista e allora premier (al secondo mandato) Silvio Berlusconi.
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