Recensire un romanzo di un amico (tra l’altro, come molti di voi sanno, collaboratore di ThrillerCafé) non è semplice, ma cercherò di essere il più obiettivo possibile scrivendo di Guarda come si uccide.
Innanzitutto, mi preme sottolineare quanto Ivo Ginevra sia un autore la cui sensibilità vada di pari passo con quella che da tanto tempo dimostra da lettore. Se avete letto qualcuno dei suoi pezzi qui sul sito, saprete di cosa parlo: quella capacità di indagare sul messaggio di chi scrive, i temi che scorrono sotto le trame, dentro le parole. E come sa afferrare visioni e motivazioni dietro al narrato, allo stesso modo Ivo sa costruire una storia che non nasce su carta come incastro di eventi, né si alimenta da sola guidata dai personaggi. Certo, c’è trama a più livelli e ci sono protagonisti interessanti, ma soprattutto c’è la germinazione di una storia che vien su da un seme velenoso. La Mafia.
Quella che per qualcuno non è un tumore da estirpare ma un obiettivo a cui puntare. Don Pinuzzo se la sogna addosso, l’etichetta di mafioso, agognando il giorno in cui smetterà di orbitare attorno ai veri boss solo per discendenza onorata e sarà finalmente parte della Famiglia.
La mafia che non si ferma davanti a niente, neanche ai bambini, che in questa storia tra il thriller e il pulp fanno invece da carnificazione della speranza e del coraggio.
Un confronto che si sviluppa forse in poche pagine, agili e risuonanti anche nei dialoghi di sicilitudine (per dirla alla Sciascia) che non può non richiamare Camilleri, ma che a dispetto della breve durata arde anche a libro richiuso, perché questo round non è che uno degli innumerevoli che ogni giorno si combattono sotto il sole siculo.
E così, benché Guarda come si uccide non sia innovativo nell’impianto del narrato né nelle figure dei personaggi, siamo comunque di fronte a un assieme complessivo meritevole, impacchettato in un libriccino che non avrebbe sfigurato nel catalogo di editori un po’ più noti dei Buoni Cugini, che Ivo stesso ha fondato. E giusto per evitare dubbi: stavolta l’essere editore di se stesso non è un comodo aggiramento dei meccanismi editoriali ma solo una consapevole e deliberata rinuncia a fanfare chiassose e coccarde luccicanti.
Se avete occasione di leggere, concorderete con me.
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