Hans Tuzzi, classe 1952, è lo pseudonimo di Adriano Bon, scrittore e saggista italiano. Oggi recensiamo il suo quarto romanzo con protagonista Norberto Melis: Il principe dei gigli.
In cerca dell’Albergo dei Papi, nel Maggio del 1982, il vicequestore Norberto Melis raggiunge l’antico borgo nel Centro Italia – Spelta – in auto da Milano per accompagnare Fiorenza, con l’immancabile cane Kim, a partecipare alla tre giorni delle annuali letture di studio della FERAL (Facoltà Europea di Recupero delle Antichità Librarie). In questo paesino bucolico a sentir parlare di libri e stampe antiche, carta e filigrane, tra dotti ricercatori e studiosi del libro antico, Melis pensa di poter contare su una pausa colta dove rilassare la mente e nutrire lo spirito nell’antica Rocca, sede del Congresso.
All’inizio della prima giornata di lavori di bibliologia, Melis e Fiorenza intravedono una coppia di giovani studenti e a Fiorenza il corpo atletico del ragazzo ricorda il Principe dei Gigli, titolo del libro di Tuzzi, nonché la figura del cosiddetto “Re sacerdote” di Cnosso, il popolare reperto d’arte minoica con la sua poderosa muscolatura, forse rappresentazione di un pugile. I due giovani vengono soprannominati “affreschi cretesi” da Melis.
Il convegno fa appena a tempo ad aprirsi con le presentazioni dei relatori che viene interrotto dalla notizia del ritrovamento di un corpo, brutalmente ucciso, appartenente ad uno studente, Beniamino Cherchi, in un’aula adibita al restauro dei libri antichi. Il ragazzo della coppia di “affreschi cretesi”.
Superando le notevoli preoccupazioni del rettore per la prosecuzione del convegno e per la totale discrezione con cui deve essere trattato l’infausto evento, Melis e la polizia locale iniziano le indagini, impegnandosi da subito nel cercare, attraverso l’approfondimento della vita privata dello studente ucciso e della sua ragazza, quale può essere il movente di un omicidio, accaduto in questa tranquilla provincia lontanissima dai tipici contesti criminali metropolitani. Due piste molto diverse vengono approfondite, la prima riguardante piccoli commerci di droga, la seconda la differenza d’origine sociale tra il Beniamino, figlio di contadini, e la sua ragazza, figlia di un imprenditore turistico locale. Anche Fiorenza facilita, con la sua forte cultura classica, la comprensione di alcuni contesti legati allo sfondo accademico in cui si svolgono le vicende. Gli agenti Ferrini e Giovannini, impegnandosi anche oltre i loro ruoli ufficiali, aiuteranno Melis a risolvere il caso, per nulla semplice che richiede la consulenza periodica degli illustri studiosi presenti.
La storia raccontata da Tuzzi si dispiega in un crescendo di indizi che via via fanno esplorare a Melis i moventi insiti nella vita dello studente assassinato. Il lettore viene quasi invitato a prender parte all’indagine, ragionando con lo scrittore sulla pertinenza e fondatezza dei possibili moventi che via via vengono approfonditi, dalla pista della droga, a quella della disparità di origine sociale tra i due fidanzati (lei di famiglia benestante, lui di origine contadine). Questa attività di investigazione è molto piacevole, complice anche lo stile narrativo, veloce, colto, mai scontato. A tratti sembra di essere in un contest rieccheggiante Agata Christie, dove tutti i personaggi che via via prendono corpo, possono essere i sospettati.
L’ampia e forbita dotazione culturale di Tuzzi, che ben traspare dal testo, non è mai impedimento alla piacevolezza della lettura che scorre veloce e ci coinvolge, come sopra accennato, quasi dovessimo partecipare alle indagini. Scritto molto bene, con interessanti riferimenti alla storia del libro e della carta (mondi cari all’autore), mi sento di consigliarlo anche come primo libro per approcciare Hans Tuzzi dato che non prevede conoscenze di precedenti avvenimenti. Il Melis è un commissario erudito che rieccheggia figure note di Scerbanenco e di altri classici del genere, adatto al lettore che, come me, si appassiona alle figure di ispettori che hanno una vita piena di interessi culturali, più riflessivi che pistoleri.
Recensione di Luca Bonadimani.
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