Hervé Le Corre è un romanziere e professore francese, particolarmente apprezzato dalla critica ed edito qui in Italia da E/O.
Con l’ultimo romanzo Dans l’ombre du brasier, ovverosia L’ombra del fuoco (con coinvolgente traduzione di Alberto Bracci Testasecca), l’autore si è voluto dedicare alla celebre e tremenda esperienza della Comune di Parigi.
Come noto, all’inizio del 1871, Parigi si vede de facto costretta a soccombere dinanzi all’invasione prussiana. Come molte volte è accaduto in passato (e così continua a essere nel presente), le istanze sociali del cambiamento promanano violentemente dal basso, e infatti la popolazione insorge dinanzi alla bruciante sconfitta, le cui conseguenze sarebbero ancor più devastanti per la vita individuale di tutti quanti. Viene instaurato un governo a gestione diretta, affidato a persone di polso quanto inesperte, le quali incarnano un primitivo carisma weberiano. La loro estrazione e i loro scopi hanno matrice socialista, anarchica, riformista. Riflessione questa particolarmente attuale, considerato che spesso nella vita e nelle professioni di molti, ci si vede costretti a prendere il controllo della situazione, ma in evidente inferiorità numerica e sprovvisti delle necessarie risorse.
Ebbene tornando al 1871, e in specie alla settimana che va dal 21 al 28 maggio, l’esercito nazionale irrompe in città per eliminare anarchici e comunardi, con successo: le vittime sono più di ventimila.
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Nel romanzo fiume di Le Corre, tuttavia, si leggono con piacere le vicende di alcuni personaggi, tra i quali spiccano il buon uomo Nicolas, spinto dall’amore per la sua Caroline, e l’inquisitore improvvisato Roques, incaricato di riportare ordine su delega dell’assemblea popolare.
Personaggio quest’ultimo che ricorda vagamente il magistrato senza nome del romanzo avanguardista Aspettando i barbari (dell’australiano J. M. Coetzee, edito da Einaudi), altra importante testimonianza di come i valori sociali risultino sempre preponderanti dinanzi a qualsivoglia spinta imperialista, reale o immaginaria. Al contrario de I barbari, tuttavia, che è di fatto un affascinante romanzo tra distopia psicologica e fiaba politica, qui l’aderenza al reale è forte, in una successione di eventi paritaria (come potrebbe essere altrimenti!) e volutamente priva di guizzi, che richiama altri lavori, come il ciclo italiano de Il sole dell’avvenire e 1849 – I guerrieri della libertà (V. Evangelisti, Mondadori) o i poco noti lavori storici di Mary Shelley.
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La lezione che impartisce il romanzo storico in esame è quanto mai un insegnamento di terrore, dal momento che si attraversa la lettura del testo si viene pervasi da una sensazione di straniamento: è bene testare – magari solo su carta – le conseguenze dei cambiamenti sociali, specie quelli che sono contrassegnati dalla morte, dalla violenza e dalla perdita.
Questo non è sensazionalismo letterario (equivoco dato dal senso di suspense, o thrilling, del tono narrativo), se non nella misura in cui invece il testo è assai più viscerale: come i migliori romanzi di antropologia dell’orrore, lo scrittore avvisa i lettori e gli storici dell’importanza della vita e della civiltà, le quali devono essere sempre preservate, ad ogni costo.
È uno dei casi in cui la letteratura mantiene il suo primato universale di insegnamento, senza rinunciare ovviamente al piacere palpitante che si ha nel frequentarla, e al rigore scientifico dato dalla cornice storica precisa (le nazioni in guerra, la modernità che viene forgiata in maniera casuale e tragica). Se è vero, infatti, che alcuni storici del diritto hanno identificato le rivolte della seconda metà dell’Ottocento europeo come una sorta di bluff, sminuendo di molto la loro rilevanza costituzionale (che sarebbe da rinvenire in altri luoghi del tempo e della storia politica), è anche vero che compito del romanziere è quello di trasmettere sensazioni, ricordi ed esperienze anche e soprattutto individuali.
Per sentire la diretta opinione dell’autore in proposito, si rimanda alla recente intervista italiana, per il Manifesto (28 febbraio 2021)
Buona lettura al Thriller Cafè, per un’esperienza singolare e appagante.
Recensione di Claudio Mattia Serafin.
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