I bastardi vanno all’inferno di Frédéric Dard, edito da Nero Rizzoli, è una lettura che non vi dovete perdere e oggi, qui al Thriller Café, vi spieghiamo perché.
“Ci sono momenti in cui non ha più importanza se siamo poliziotti o criminali, momenti in cui non fa più differenza da che parte della barricata stiamo. Non esistono più barricate! Torniamo a essere semplicemente due uomini. Due poveracci, persi nelle profondità dell’inferno!”
Il romanzo si apre con questo prologo, un avvertimento per preparare il lettore a quanto lo aspetta.
Frank e Hal sono prigionieri di un non meglio precisato carcere di massima sicurezza in Francia. Condividono la stessa cella e anche le angherie del Fetente, un sadico aguzzino che ha il curioso vezzo di masticare fiori. Ma Hal e Frank non sono due carcerati comuni. Il primo è un agente segreto, “arrestato mentre cercava di aprire una cassaforte del laboratorio principale di Saclay”. Malgrado i pestaggi, la polizia non è riuscita a farlo parlare, a fargli confessare quale organizzazione ha commissionato il furto, e così viene tentato un ultimo, disperato espediente: si invia Frank, un poliziotto sotto copertura, a condividere la prigionia di Hal, con il compito di conquistare la sua fiducia e risalire ai mandanti…
La relazione tra i due reclusi, però, si rivela tutt’altro che idilliaca: l’uno sospetta dell’altro e più che le parole, sono le botte a caratterizzare i loro scambi. Eppure, attraverso calci e pugni si farà strada una strana forma di amicizia, che li porterà a tentare di evadere insieme dal carcere: “un odio come il nostro è più forte dell’affetto, va oltre!”
I bastardi vanno all’inferno è un’opera dalla genesi atipica: nasce, infatti, come opera teatrale, viene successivamente trasformata in film e diventa infine un romanzo, una sorta di procedimento inverso rispetto a quello che solitamente accade. In effetti, l’impronta teatrale si avverte fortemente nel testo, con dialoghi serrati e carichi di pathos, ma si sposa sorprendentemente bene con una narrazione dinamica, piena di eventi e di colpi di scena. Anche se risale agli anni ’50, l’opera è ancora “fresca” e godibile anche per noi lettori del nuovo millennio: il segreto, forse, sta proprio in questa ibridazione non proprio usuale tra noir e teatro.
Frédéric Dard (1921-2000) è stato un autore estremamente prolifico, con all’attivo un numero impressionante di romanzi scritti sotto vari pseudonimi, tra cui la fortunata serie di ben 184 romanzi del Commissario Sanantonio. La sua opera fu influenzata senz’altro dalla letteratura hard boiled d’oltreoceano, Dashiell Hammett in primis, ma anche dai suoi connazionali, Georges Simenon di Maigret e il grande Ferdinand Celin di “Viaggio al termine della notte”. Deriva forse da loro il taglio esistenzialista che incontriamo in questo breve romanzo: c’è una volontà di scavare negli ambiti più reconditi e segreti dell’animo umano, che è un po’ la cifra stilistica del noir francese (pensiamo, ad esempio alla trilogia nera di Leo Malet, e in particolare a Nodo alle Budella). L’avventura di Hal e Frank non è un romance edulcorato, ma una storia sordida, fatta di pulsioni irrazionali e anche abbastanza sordide, dove conta di più quello che non viene detto, che si intuisce tra le righe ma l’autore non spiega. Ed è proprio questa scelta narrativa lasciare il disegno incompleto, di non raccontare tutto, che denuncia l’abilità dell’autore: come ci ha insegnato Borges, infatti, “la soluzione del mistero è sempre inferiore al mistero stesso.”
In sintesi, I bastardi vanno all’inferno è un’opera strana, ibrida, che si legge in una sera ma che picchia duro e lascia il segno. Da leggere!
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