Non deve essere facile, per un autore che ha creato – in un’epoca in cui la globalizzazione non esisteva – un personaggio di successo globale come il commissario Maigret, esprimersi al meglio con altri protagonisti.
Georges Simenon ci riesce. Ed in questo sta, a mio modesto parere, la sua grandezza, non solo come autore di crime fiction ma come scrittore punto e basta.
Non contento di aver prodotto oltre settanta romanzi con Maigret protagonista, Simenon ha scritto un numero ben maggiore di altre opere in un arco di tempo fra il 1931 ed il 1977. Tutte, in un modo o nell’altro, che scavano nei risvolti più reconditi e meno appetibili dell’animo umano, prendendo atto della terribile, disarmante ordinarietà della mente criminale.
Ho scovato “Le Bilan Malétras” durante un recente viaggio a Parigi. Edito in Italia nel 1964 da Mondadori come I conti sbagliati di Malétras, salvo errori, non è stato (ancora) ripubblicato da Adelphi nella loro ottima serie Simenoniana. Eppure è un piccolo classico. Scritto nel 1943 – e la disperazione sorda del periodo trasuda dalle pagine del libro – ha come protagonista un personaggio tipico dell’universo di Simenon. Jules Malétras è un uomo sulla cinquantina ed è assai poco gradevole: borghese (e ricco) fino alla noia, taciturno, scostante ed un poco avaro. E nel giro di venti pagine, in preda ad un raptus, strangola la sua amante, Lulu, una cameriera ventenne quasi altrettanto sgradevole, volgare e nemmeno bella.
Simenon sovverte subito le regole della crime fiction (non dimentichiamo che per lui questi romanzi, del tipo che lui definiva “roman dur”, non erano “gialli”): l’assassino è noto, ed il gioco sarà scoprire se e come si tradirà, e perché un uomo apparentemente scialbo come Malétras possa essere giunto a “non fare più parte della comunità umana” (parole sue), a diventare un assassino. Un comune omicida, senza sofisticazione e senza glamour, che ha ucciso in un momento di rabbia e gelosia la sua amante troppo petulante, che si lamentava perché lui le aveva nascosto il fatto di essere ricco.
Confesso che per le prime trenta pagine circa ho pensato che Adelphi non avesse tutti i torti. La vicenda mi sembrava scontata, Malétras poco credibile come colpevole. E’ facile però farsi prendere dalla prosa secca ma suggestiva di Simenon… e scoprire pian piano una serie di risvolti psicologici assolutamente inaspettati. Se la parola “giallo psicologico” vi spaventa, e vi fa venire in mente tortuosità letterarie e trame convolute, non preoccupatevi. Simenon riesce a disegnare l’angoscia di Malétras con un’economia di tratti unica, raschiando delicatamente la superficie e mettendo a nudo le meschinità ma anche le sofferenze di un uomo “normale” come lui. Che è stato capace, senza rendersi conto del come ed a malapena del perché, di fare qualcosa di orribilmente anormale, ma anche spaventosamente facile.
Nel contempo, Simenon abbozza una serie di personaggi di contorno non meno riusciti: la seconda moglie di Malétras, Hermine, gentile ma inflessibile come un generale; il nipote squattrinato Philippe, che Malétras disprezza perché si dà arie da intellettuale ma altro non è che un contabile in banca; e Joseph, l’altro, misterioso amante della sventurata Lulu.
Che fine farà Malétras, quale sarà il suo “bilancio”? Se non volete aspettare la riedizione italiana, potete andare a caccia dell’edizione del 1964 o del 1980. Vi assicuro che ne vale la pena.
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