Ne I giorni della cagna: la presa di Roma di Daniele Autieri, per Claudio Accardi tutto comincia provando ad importare cocaina dal Venezuela via mare, trasportando il carico lungo l’Atlantico a bordo della sua barca. Saputa la cosa, al suo amico Max Sanna viene un’idea: trasformare quel tentativo in un vero business iniettando nel mercato romano un gran quantitativo di droga saltando tutti gli intermediari e garantendosi dunque ricavi stratosferici. I due compari hanno caratteri diversi: Max è sicuro di sé, sa come muoversi ma proprio per questo cerca di uscire subito dal giro senza pestare i piedi a nessuno; Claudio è più fragile, brucia subito tutti i soldi e, in preda ad un complesso di inferiorità nei confronti di Sanna, sprofonda in un vortice pericoloso di dipendenza e avventatezza. Entrambi, ciascuno a suo modo, pagheranno un prezzo salatissimo per esser entrati in questo gioco spietato. Accardi diventerà una testa di legno, ovvero un prestanome, una figurina dietro la quale nascondere gli affari illeciti, un uomo a totale servizio di Gabriele Sebastiani, il Papa Nero, un fascista già in combutta con la Banda della Magliana (che non poteva mancare in un romanzo sulla delinquenza capitolina) ed ora uno dei capi delle tante gang che governano la città. La presa di Roma è anche una complessa geografia criminale, un casellario giudiziale, coi quartieri romani divisi per zone d’influenza ed una schiera immensa di malavitosi dai nomi evocativi di un’epica da strada: il Babbuino, Big, Ojos de Viejo, quelli di Arancia Meccanica, il Coca-Cola, il Gallina, il camorrista Dracula, chiamato così perché ha dissanguato coloro che si sono messi d’intralcio alla sua ascesa, e molti altri. Ex terroristi dei Nar e mafiosi stringono patti e si combattono senza soluzione di continuità, nel tentativo spietato di dominare il territorio. Dietro le quinte, una parte dei Servizi Segreti sorveglia vigile e pilota la situazione. Un equilibrio delicatissimo, dove ognuno ha il suo tornaconto e non deve dar fastidio agli altri, garantendo una pax malavitosa che resiste e cerca di arginare una violenza comunque ribollente in profondità, pronta ad esplodere portando con sé tradimenti, vendette ed una lunga scia di morti ammazzati.
Camorra, ‘ndrangheta e mafia hanno lentamente perso la loro identità e hanno lasciato spazio alla loro sintesi.
La Cagna ha raccolto in sé il crimine unito, il male assoluto che lotta per la sua sopravvivenza. In silenzio, perché in città non si spara, ma con l’avidità di una belva affamata.
A Roma ci stanno i figli di tutti e la Cagna li alleva uno per uno: napoletani, calabresi, siciliani, criminali di strada, fascisti con il debole delle armi, eredi malati e contagiosi di un’unica levatrice, che azzanna quello che trova per saziarne il desiderio.
Il poteee è una fame che continua a crescere, più ne hai più ne vuoi. Per fare le cose veramente in grande, il passo conclusivo è prendersi la politica. Un lavoro lento ma inesorabile. Qui gli aspetti che più si rifanno alla realtà sono maggiormente evidenti (si parla, tra le altre cose, del delitto Reggiani, usato come fortuito innesco di una moderna strategia della tensione e della vittoria di Alemanno, primo sindaco di destra dopo un decennio di centrosinistra). Non può non venire in mente Mafia Capitale. I nomi saranno pure di fantasia, ma i fatti sono terribilmente verosimili.
“Ti lancio una provocazione. E se la posta in gioco non fosse più questa città ma il Paese intero? E se invece di una capitale criminale, dietro questo disegno ci fosse uno Stato criminale? Un posto dove non è più necessario corrompere un parlamentare, perché il parlamentare è già nostro? E dove gli interessi di tutte le magie hanno dei loro tutori dentro le istituzioni?”
“Quello di cui parli si chiama colpo di Stato”
“E’ l’opposto. Non c’è bisogno di sovvertire lo Stato se lo Stato è già tuo”.
Nel racconto la politica rimane comunque sempre in secondo piano, i Palazzi compaiono ma le vere location del romanzo sono la strada, i locali della malavita, il Sudamerica e al limite i paradisi fiscali di tutto il mondo.
Claudio sembra non imparare la lezione, o forse è solo troppo debole per non ricadere sempre nei soliti errori. Ha la fortuna di non pagarli con la vita, cosa che in quegli ambienti è già un miracolo.
Il giornalista investigativo Paolo Cernaz comincia ad interessarsi di lui e lo mette in contatto con qualcuno che lo può aiutare a fare la cosa giusta.
I giorni della cagna: la presa di Roma ha uno stile asciutto, forse retaggio della professione di Daniele Autieri, che è giornalista; sembra di leggere un “reportage aumentato” che ci immerge nelle situazioni che racconta. Nel sintetizzare la trama si rischia di privilegiare un filone o qualche personaggio più di altri; impossibile ad esempio non citare Vento, un pugile di strada che vive a San Basilio e viene arruolato dal Nucleo, la nuova faccia dell’estrema destra eversiva, il quale stringerà un legame forte ma ambiguo con Claudio, che rimane sempre il protagonista di un libro che però è strutturalmente corale, come è giusto che sia dato che racconta (in un arco narrativo che parte nel 2005 e arriva all’oggi, al 2016) un’immensa sequenza di eventi ed un organismo, quello della criminalità organizzata a Roma, estremamente articolato. Un affresco enorme e preciso che Autieri affronta con sicurezza ricordandoci, ma giustamente senza insistere troppo ed evitando così la deriva retorica, che i personaggi che affollano questa brutta storia sono uomini, le cui vicende si tingono dei loro desideri, delle loro colpe, delle loro paure. Fino ad un grande finale che, in qualche inafferrabile modo, lascia addosso una sensazione epica, perfetta conclusione per quella che, in fondo, è un’epopea moderna.
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- Autieri, Daniele (Autore)