Cari avventori del Thriller Cafè, tenetevi forte che oggi vi consegnerò una revisione di un romanzo che è una bomba. Esce da Guanda, collana Guanda Noir, l’ultimo romanzo di Irvine Welsh, che si intitola “I lunghi coltelli”. La traduzione è di Massimo Bocchiola, critico, saggista e poeta, al quale va un plauso perché tradurre Welsh è un’impresa titanica, ma lui ci è riuscito più che bene.
Welsh, scrittore scozzese del 1958, è spesso associato a “Trainspotting”, un po’ perché è stato il suo esordio letterario, un po’ perché il film tratto dal romanzo è stato grandioso, un po’ perché il libro è un capolavoro. Ma, in seguito, l’autore ha creato un suo preciso e specifico stile, che io definirei pop(ular) scottish crime dove entrambi gli aggettivi sono indispensabili. Pop(ular) perché Welsh scrive della strada e sulla strada, scrive come parlano i portuali della sua Leith, gli ex docks di Edinburgo. Scrive storie di miseria, sfruttamento, violenza e disperazione. Senza filtri. Welsh è anche Scottish, perché ama la sua gente e le sue tradizioni, adora la sua città palmo a palmo, trasuda di spirito anti-british senza essere nazionalista.
In questa storia, Welsh fa comparire nuovamente, dopo l’esordio nel romanzo “Crime” del 2008 (che ha generato una bella serie), Ray(mond) Lennox, sbirro dell’Anticrimine di Edinburgo, nativo di Leith, ma tifoso degli Hearts (la squadra del popolo a Edinburgo sono gli Hibernians, o Hibs), quasi a sottolineare la sua natura di sradicato. Come Welsh è stato cantore del post-punk senza essersi mai arreso alla fine del punk originario, Lennox tifa visceralmente gli Hearts dei pacificati borghesi. Lennox indaga ne “I lunghi coltelli” su un omicidio efferato, nel quale il parlamentare conservatore Ritchie Gulliver, in odore di pedofilia, è stato torturato e brutalmente seviziato. Bisogna setacciare l’ambiente politico, marcio fino al midollo, per capire l’origine brutale di questo crimine. Lennox lo farà con il suo stile deciso, quasi brutale, ma con la sua grande intelligenza di detective. Scoprirà anche molte cose di sé stesso e su sé stesso, che lo aiuteranno a uscire dal pantano nel quale questa storia lo ha infilato.
Welsh scrive un grande romanzo, degno di un grande scrittore qual è. Uno scrittore tra i più politici di tutta la scena crime europea, sicuramente radicale, senza mediazioni, vero fino al punto di sconfinare nel pulp. Con uno stile tagliente, veloce, ma insieme capace di entrare come pochi altri dentro la psicologia dei personaggi, colto e raffinato quando serve. Una struttura narrativa ben ritmata, accompagnata come suo solito da citazioni di brani musicali che creano una vera e propria colonna sonora, che alterna punti di vista di più personaggi, a testimoniare che l’era post-democratica, come il suo Lennox la definisce è un’epoca disordinata, sfaccettata, a volte indefinibile.
Il paradigma infatti della post-democrazia per Welsh è la crisi dell’identità. Identità di genere, identità di classe, identità di poliziotto, “polis” come lo chiama gergalmente Welsh. Si potrebbe quasi dire che secondo l’autore scozzese nel mondo attuale siamo sconfinati nella post-identità. Abbiamo bisogno di tornare a fare chiarezza per capire quello che siamo e per farlo possiamo solo essere radicali, netti, puliti, definitivi. Ma questa crisi di identità non nasce per caso secondo Welsh, ma è funzionale alla perpetuazione di un potere coercitivo, che per farsi rispettare non usa più solo la forza, ma la suadente propaganda del villaggio globale. “La realtà è che nel nostro paradigma postdemocratico di venerazione del potere, opporsi è diventato inutile. Il potere e il privilegio sono diventati intoccabili o, peggio, difendiamo quelli che li esibiscono ringhiando” dice Lennox a un certo punto. E ancora: “Il potere si propaga e segue le proprie strategie in modo implacabile. Abbiamo concepito un sistema economico per concentrare quel potere. In un contesto simile, l’opposizione al sistema diventerà sempre più estrema. Tutto ciò che stiamo facendo è raccogliere quello che abbiamo seminato”.
Ma non crediate che il messaggio sia la resa nichilista. Welsh lascia aperta la strada della “rivalsa”, come la chiama Lennox (tradotto da Bocchiola): “I coglioni che si sbattono per i fanali rotti e i taccheggiatori sono poliziotti. Loro sono servitori dello Stato. Noi balordi dell’Anticrimine serviamo il popolo. Serviamo la rivalsa…“. Avanti quindi, come l’autore stesso dice nei ringraziamenti, “testa alta e sorriso in faccia” anche nella post-democrazia. E se non è un manifesto questo….
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