Sono felice di incontrarvi oggi al bancone del Thriller Café e di farvi compagnia con le prossime righe, che arrivano dopo una lettura difficile, ma importante. Ve ne parlo mentre vi preparo un buon cocktail, io ne ho avuto bisogno in queste sere per riuscire a dormire! Per fortuna il nostro Barman ha sempre un ottimo rifornimento insieme a nuove letture ogni giorno con cui farci incuriosire.
Ci sono tante storie che lasciano il segno, ma ce ne sono alcune che vanno oltre. Il bambino che disegnava le ombre, per me, è una di queste. Scritto da Oriana Ramunno e pubblicato da Rizzoli nel Marzo 2021, è un thriller storico che narra di un omicidio avvenuto in una delle pagine più atroci scritte nella Storia. Un’indagine che è molto di più di una ricerca della verità, è una ricerca di speranza in quell’anus mundi, come lo definisce il protagonista Hugo Fischer che è il campo di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Di fronte a voi avrete gli occhi del criminologo tedesco e gli occhi “speciali” di un bambino ebreo di Bologna. Ogni pagina sarà un macigno, vi porterà la complessità delle anime che la neve ci fa apparire tutte uguali, ma che sotto la lastra di ghiaccio hanno emozioni e memoria.
Un caso di omicidio in un luogo dove l’orrore e la morte sono all’ordine del giorno? Dove tutto è perduto, c’è ancora la speranza.
La trama:
Hugo Fischer è stato chiamato nel campo di concentramento di Auschwitz nel mezzo del Natale del 1943 per scoprire chi ha assassinato il pediatra Sigismund Braun, un medico che lavorava a stretto contatto con Josef Mengele durante i suoi esperimenti con i gemelli. A Berlino infatti si sa poco di quello che succede nei campi di concentramento e Fischer non è pronto a fare i conti con gli orrori che vengono perpetrati oltre il filo spinato. Dalla soluzione del caso dipende la sua carriera e Fischer si confronterà con militari e medici nazisti, un’umanità crudele e deviata, ma anche con alcuni prigionieri che continuano a resistere. Tra loro c’è Gioele, un bambino ebreo dagli occhi così particolari da avere attirato l’attenzione di Mengele. È stato lui a scoprire il cadavere del dottor Braun e a raffigurare la scena del delitto grazie alle sua abilità nel disegno. Tra Gioele e Hugo Fischer nascerà una strana amicizia, un affetto insolito in quel luogo dell’orrore, e proprio per questo ancora più prezioso.
Il mio pensiero di lettura:
[…] nessuno aveva dato peso a quel gesto, nessuno si era pubblicamente indignato: un’azione isolata, quasi insignificante, che tutti avevano sottovalutato e che, proprio perché sminuita, aveva piantato le radici della futura follia.
L’atrocità può cominciare da piccole cose. Frasi che lasciamo correre, gesti che decidiamo di trascurare. L’odio trova la sua forza nelle fratture più infime, negli spazi che ci separano gli uni dagli altri. Il bambino che disegnava le ombre è un libro doloroso, perché ci mette di fronte alle nostre scelte di tutti i giorni. Ci porta a riflettere sulla nostra omertà quando accade un’ingiustizia, ci porta a pensare che la follia è meno distante di quanto si possa immaginare. Sta a ognuno di noi il compito di prendersi cura l’uno dell’altro, in una catena virtuosa che leghi l’Umanità e il percorso che facciamo passo dopo passo.
Durante la lettura viene evocata spesso l’immagine della marea. Con l’alta marea tutto si copre e nasconde, salvo poi riapparire e rivelare i resti del passato con un retrogusto amaro, ma anche un senso di rivalsa, un’attitudine allo scorrere del flusso, al fluire della speranza che non può essere sepolta fino a che ci saranno uomini e donne che sceglieranno di lottare.
Per me, una lettura emotivamente molto difficile, ma le cose difficili vanno affrontate. Un libro può essere una grande occasione per uscire dalla propria confortante quotidianità, per mettersi di fronte a quello che ci spaventa di più.
Il bambino che disegnava le ombre è un thriller che ci fa sentire estremamente soli, ma che alla fine ci aiuta a sentire gli altri più vicini. Una storia che ci ricorda che ognuno di noi può fare la differenza, e facendola può fare la Storia.
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